(bozza non corretta)
Dieci giorni sono passati dal turno di ballottaggio delle elezioni amministrative. Turno di ballottaggio che ha visto comune e provincia di Ascoli consegnati entrambi al centrodestra dagli elettori del nostro territorio che, probabilmente, sono in molti a dirlo, hanno votato più per bocciare scelte, contraddizioni ed incertezze di una parte, che per dare fiducia all’altra che, aldilà di coreografie, di vecchie ed abusate pratiche e suggestive immagini, non brillava certo per unità di intenti, proposte e manifesta capacità di concretizzarle.
Un esito che molti di noi avevano temuto e tentato di scongiurare con un serrato lavoro quotidiano a contatto con gli elettori.
Centinaia di incontri, di occasioni di confronto e discussione, creati nel breve periodo della campagna elettorale che purtroppo però non sono bastati a far passare, sino in fondo, il nostro messaggio, a farlo divenire maggioritario.
C’è davvero mancato poco se, sui quasi trentamila voti espressi dai cittadini della nostra città, alla fine, solo 427 voti hanno separato Canzian da Castelli.
Ci siamo fermati a 14.273 e, da questo dato, purtroppo insufficiente a consegnarci la guida della città, ma certo di buon auspicio per il futuro, vogliamo e dobbiamo ripartire.
L’esiguità di questa differenza ci mostra come l’indicazione dataci dagli elettori delle primarie di novembre fosse quella giusta.
Non di una candidatura interna ed incapace di parlare alla città si trattava come da molti, anche nel centrosinistra, indicato ma della candidatura giusta, capace di rompere gli schemi consueti del confronto destra-sinistra e di aprire una breccia consistente nel centrodestra cittadino. (Chiunque sia stato presente in uno qualsiasi dei seggi cittadini non può non aver notato quante schede recanti l’indicazione per partiti del centrodestra individuavano comunque Canzian quale candidato sindaco prescelto).
Molte cose sono successe dalla data delle primarie (ricordate: eravamo a fine novembre): l’uscita dalla maggioranza in comune di un consistente numero di consiglieri, l’approvazione della mozione di sfiducia al sindaco Celani, la scelta dell’udc di correre da sola, l’imprevista candidatura a sindaco di Gibellieri, che hanno, tutte insieme, alcune volontariamente altre incidentalmente, contribuito, non poco, a rendere più agevole la nostra corsa.
Il nostro partito (e il centrosinistra in generale) non è però riuscito, nel suo insieme, sino in fondo, a cogliere tutti gli aspetti e le potenzialità di questa favorevole situazione (o, in un’ipotesi più triste e “tafazziana” li ha percepiti tutti ed ha, di conseguenza, agito).
Dopo le primarie infatti, sin da dicembre, c’era la possibilità di tuffarci, tutti insieme, con largo anticipo, nella campagna elettorale per tentare di far conoscere, a quanti ancora non avevano avuto occasione di farlo, il nostro candidato, la nostra proposta per la città e per i cittadini.
Ci siamo chiusi in un serrato confronto volto a mettere in discussione il risultato delle primarie indicando addirittura quale determinante, ai fini dell’esito finale delle stesse, il presunto voto di cittadini di centrodestra che avrebbero in tal modo inteso favorire la scelta del candidato della sinistra più debole per avere la strada in discesa verso l’Arengo. Gli elenchi degli elettori delle primarie sono pubblici e chiunque poteva e può verificare quanto di vero ci sia in tale ipotesi: nulla.
Decine e decine gli episodi e i tentativi di delegittimazione, le prove richieste, le istanze pretestuosamente avanzate (o fatte avanzare da altre forze della coalizione) al solo scopo di rimettere in discussione, sino all’ultimo, il risultato emerso dalle urne delle primarie.
Ora è probabilmente inutile elencarli tutti: ciascuno di noi ricorda ogni passaggio. Il risultato finale è comunque stato quello di un centrosinistra giunto alle elezioni della città di Ascoli con tre persone candidate alla carica di sindaco offuscando, in tal modo, non poco, la prospettiva di un governo caratterizzato da segni diversi della città.
Discorso a parte va fatto per le scelte operate per la Provincia anche se, anche queste, alla fine, si riveleranno determinanti per le stesse sorti della città di Ascoli.
Il PD, in questo caso, ha tentato una prova di forza; ha, forte del suo 40% riportato alle ultime elezioni politiche, ritenuto opportuno e logico rivendicare il ruolo di presidente della provincia e provato a dimostrare la sua autosufficienza; la sua capacità di vincere anche al di fuori della tradizionale alleanza di centrosinistra.
Una scelta politica possibile, approvata dall'assemblea provinciale, non all'unanimità ma certo con larghissima maggioranza dei presenti, quando si è votato, e, di certo, legittima.
Una scelta politica che, come ha scritto qualcuno, ha sotto nomi e cognomi di chi l'ha proposta, portata avanti e fatta approvare dall’assemblea del partito.
Tanti in questi mesi avevano, in diversi modi e forme, avvertito che per la via della delegittimazione di Rossi e del lavoro della sua giunta, della quale eravamo stati componente essenziale e determinante, non si sarebbe giunti a nessun risultato utile; che era, quella della divisione da Rossi, una politica cieca e sorda ai richiami dell’elettorato del centrosinistra; si è più volte letta ed udita la metafora dell’auto lanciata a piena velocità contro il muro senza che nessuno di quanti erano a bordo avesse il coraggio di dire ciò che realmente stava accadendo o di tirare il freno.
Giravano, ed erano anche largamente conosciuti, dati di sondaggi che mostravano quanta parte dei tradizionali elettori del PD avrebbero comunque rinnovato la loro fiducia a Massimo Rossi, indipendentemente dal candidato scelto dal loro partito di riferimento; tanti erano gli appelli, gli articoli, i commenti sui quotidiani on-line che avvertivano i vertici del partito che avremmo perso provincia e comune continuando per quella via e, sopratutto, scegliendo di abbandonare la maggioranza provinciale a due mesi dalle elezioni esprimendo non un candidato qualsiasi ma colui che nella giunta Rossi aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente e, come giusto e naturale, di quella giunta aveva condiviso ogni scelta e strategia.
Il nostro gruppo dirigente è rimasto, nonostante tutto, legittimamente, sulle sue posizioni, portando il Pd ed il centrosinistra ad una sconfitta talmente evidente e di tale portata che, certo, non potrà essere priva di conseguenze. Non sarebbe giusto, se ne fosse priva, per i cittadini, per i nostri elettori; per quanti ci hanno sostenuto; per quanti, magari pur non condividendo la scelta della divisione, hanno comunque visto in noi una forza seria e responsabile e della quale fidarsi.
L’essere, ed essere individuati quale forza seria e responsabile, impone anche delle responsabilità: è nel ruolo di un gruppo dirigente assumere delle decisioni e fare delle scelte, ma quando queste si appalesano come errate, le conseguenze vanno tratte, se non si vuol dare l’impressione di far parte di una casta comunque intoccabile ed insensibile a qualsiasi cataclisma.
E, paradossalmente, tanto più diffusa e condivisa è stata la scelta, tanto più le responsabilità vanno individuate e, di conseguenza, più ampio deve essere il rinnovamento del gruppo dirigente, arrivando a coinvolgere, a mio avviso, ed è un mio pensiero, anche se in misura minore, anche chi pur non condividendo talune scelte, non ha avuto sufficiente determinazione da far prevalere quelle ritenute giuste.
Il problema non è ovviamente dimissioni o meno del segretario provinciale. Certo anche lui ha le sue responsabilità, se non altro, per lo “zelo” che ha messo nell’eseguire le decisioni assunte dell’assemblea ma è tutto il gruppo dirigente che deve mettersi in discussione e quanti, in particolare, nessuno sa in quale sede ed in quale circostanza, all’indomani del primo turno, una volta accertato che i consensi ricevuti dal nostro candidato non erano quelli sperati, ha tentato, pur di non dover governare col condizionamento derivante da altre forze della sinistra, di vincere senza apparentamento regalando così definitivamente la Provincia a Celani.
Questo è probabilmente l’aspetto più grave della vicenda.
Responsabilità in merito a questo non sono ancora emerse. Resta agli atti il fatto che siamo riusciti nello stesso tempo a fare appelli per l’unità della sinistra agli elettori quando era allo stesso tempo evidente il fatto che, probabilmente per risentimenti personali (cosa che non si vede cosa abbia a che fare con le scelte di un partito) non c’era nessuna volontà di confrontarsi seriamente con chi, della sinistra, aveva raccolto, non il 5 o 10 ma il 20 % dei consensi e che, in virtù di questo, non poteva che essere interlocutore necessario.
Tornando ai dati emersi dalle urne, questi non sono, in questa occasione, di difficile interpretazione e il giudizio che se ne ricava è purtroppo di quelli inappellabili. Vediamone alcuni, pochi, giusto quelli necessari a rendere un po’ più comprensibile, se fosse necessario, quanto accaduto:
- nella città di Ascoli la candidatura di Canzian trascina con se la candidatura di Mandozzi in tutti i seggi, nessuno escluso. Quindi assolutamente nessun boicottaggio nei confronti del candidato provinciale da parte di nessuno. La differenza nei voti tra i due candidati deriva dalla diversa coalizione di sostegno e dal voto personale del candidato sindaco;
- la candidatura di Mandozzi, nonostante il risultato alla fine per certi versi accettabile, si è rivelata una candidatura comunque troppo “compromessa” con l’amministrazione Rossi per essere credibile tanto che neppure in roccaforti tradizionali del PD riesce a sfondare;
- il risultato del centrosinistra di Ascoli dipende in larga parte dal voto delle frazioni: Mozzano, Marino e Venagrande in particolare.
Nella città di Ascoli la prevalenza di Canzian è evidente, segno che la candidatura era quella giusta e che se lo stesso (e buona parte di noi) si fosse potuto dedicare un po’ meno a difendersi dalle controversie interne e un po’ di più alla campagna elettorale sarebbe probabilmente andata diversamente;
- guardando i dati delle sezioni di Ascoli risulta infine evidente come il candidato sindaco eletto debba questa affermazione alla copresenza in campagna elettorale del candidato presidente Celani. Una eventuale vittoria del centrosinistra in provincia avrebbe determinato una vittoria di Canzian nella città di Ascoli, non di misura ma ampia. La scelta di non ricandidare Rossi (che avrebbe con ogni probabilità vinto al primo turno togliendo di mezzo Celani dalla campagna elettorale) oltre ad aver avuto l’esito di consegnare la Provincia alla destra ha quindi, anche se involontariamente, direttamente determinato la sconfitta di Canzian in Comune.
Siamo qui, comunque. Come dicevo ripartiamo da un patrimonio ampio di consensi. Oltre 14.000 elettori che hanno dato credito ad una proposta diversa di guida della città.
Si dice spesso di quanto Ascoli sia una città moderata e chiusa a prospettive di rinnovamento. In questa circostanza, la metà dei cittadini che hanno espresso il proprio voto, l’ha espresso a favore di un’idea avanzata di governo della città: si è parlato di rinuncia a governare col sostegno e condizionamento delle lobbies; era del tutto evidente la volontà di governare con tutte le forze del centrosinistra, fino a rifondazione comunista, nessuna esclusa; con un programma, ad esempio, molto avanzato sul terreno del sociale e della difesa delle fasce più deboli di cittadini.
A questa prospettiva quasi la metà dei cittadini ascolani ha guardato con favore smentendo apertamente opinioni largamente diffuse e”storicamente” provate. Questo ci pone di fronte alla necessità di avviare oggi un ragionamento su quanto dovremo e potremo fare, nelle istituzioni e al di fuori di esse, per far si che tutti questi cittadini abbiano comunque voce, che i loro diritti siano comunque tutelati, che le loro legittime aspirazioni possano comunque conseguire risposte.
C’è tanta amarezza e tanta inquietudine in ciascuno di noi. Questo può, da un lato, se le istanze ed aspirazioni di cui dicevo risultassero frustrate, portare ad un ripiegamento su posizioni qualunquiste e nel disimpegno o condurci, e questo credo sia l’obiettivo da perseguire, alla possibilità di mettere in campo, da subito, una aggregazione di forze capace di iniziare a costruire quella città diversa che per qualche mese tutti noi abbiamo avuto la forza ed il coraggio di sognare.
1 commento:
Nei numeri non c’è alcuna evidenza di un voto, o di un non voto, contro Canzian strutturato a sinistra o nel PD (né voto disgiunto, né bianche e nulle). Per Mandozzi vale il discorso opposto. Lo scarto di 2860 voti, al primo turno nel comune di Ascoli, tra Canzian (11347 voti) e Mandozzi (8487 voti ), da la misura della defezione interna al PD a favore di Rossi.
Occorre una notevole faccia di bronzo per aprire il fuoco su una metà buona del partito per il “disimpegno” sul fronte comunale quando sui cannonieri pende una evidenza di defezione sul fronte provinciale. L’affaire Rossi non giustifica la defezione. Il PD non ha nessuna colpa da espiare: semmai quella di avere accettato e votato Rossi nel 2004 e di non aver aperto fattivamente la crisi sulla divisione strutturale della vecchia provincia, intollerabilmente iniqua. La ricandidatura del presidente uscente non è un diritto divino ma una prerogativa politica che si deve saper conservare soprattutto quando la presidenza riguarda una nuova provincia (le province nuove sono due e non una! Rossi era uscente ad Ascoli quanto lo era a Fermo!). In ogni caso Rossi avrebbe potuto essere il Cesetti ascolano. Ha rifiutato le primarie di coalizione (che avrebbe vinto) ed ha voluto, con il primo turno, celebrare le primarie di popolo che ha straperso. Poi ha mandato i suoi a votare Celani perché un comunista d’antiquariato, in compagnia di alcune fronde interne al PD, può far vincere la destra pur di colpire il competitore che ha a fianco.
La sconfitta di misura di Canzian origina dalla sua doppia ambizione e dalla sua doppia fedeltà. Canzian non voleva solo vincere ma anche (con il pittoresco coro dei suoi pasdaran) fare piazza pulita degli avversari interni. Canzian era il candidato sindaco del PD ma anche il sostenitore di Rossi contro Mandozzi. Protervia, strabismo e autolesionismo politico riuniti nella stessa politica. I messaggi della sua campagna per le primarie erano stati univoci, quanto generici e populisti, contro le lobbies ed i centri di potere a cui appartenevano invariabilmente i suoi avversari. La criminalizzazione dell’avversario è una pratica di tradizione stalinista applicata curiosamente nella circostanza a coloro che dovevano successivamente e necessariamente diventare supporter e alleati. Dopo le primarie Canzian non ha saputo mutare i toni ed i contenuti della sua politica. Prigioniero degli ultras (che spargevano, non metaforicamente, il sale all’arrivo del “nemico” nella sua sede elettorale), Canzian ha continuato a fare terra bruciata intorno a se. Né accordi, né compromessi, né tentativi di convincere i dissenzienti ma sportellate a tutti coloro che, dentro e fuori del PD, declinavano i perentori inviti all’allineamento. La proposta di primarie di coalizione quale strumento di sintesi e di radicamento del candidato presso il suo potenziale elettorato e gli inviti ad una politica delle alleanze più ampia sono stati liquidati come tentativi di sabotaggio quando erano, ora è evidente, opportunità da cogliere. Dopo l’esito magro del primo turno, la debacle della coalizione “minestrina”, gli apparentamenti e gli accordi con Ciccanti (nero su bianco) per il ballottaggio sono risultati inevitabilmente tardivi e contraddittori.
Ma è nella partita della Provincia che è accaduto il peggio.
Canzian ha sostenuto Rossi scopertamente al primo turno tentando affanosamente di salvare la forma dell’accoppiata con Mandozzi (una finzione che non poteva non nuocergli) e ha lasciato colpevolmente gli spacca-donatiani (alleati dell’ultim’ora, ex avversari sdoganati per l’occasione) liberi di sbandare a destra nel quadro della guerra da questi armata contro Agostini. Il risultato che ha ottenuto è stato quello di azzoppare il suo naturale traino e di rafforzare quello del suo diretto avversario. Ora Canzian lamenta il disimpegno dei “mandarini” e addita, nome e cognome, i capri espiatori alla furia del suo popolo …
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