dA LA REPUBBLICA DEL 10 GIUGNO 2009 PAG. 13
Partito Democratico: dove si perde di più.
Le 15 province con il maggior calo percentuale rispetto al 2008
Crotone -16 %
Ascoli P. -12,6 %
Ancona -12,4 %
Macerata -12,3 %
Fermo -12 %
Chieti -11,7 %
Terni -11,3 %
Teramo -11,3 %
Pescara -11,3 %
Rieti -11,2 %
Taranto -11,1 %
Brindisi -10,6 %
L'Aquila -10,6 %
Lecce -10,4 %
Perugia -10,2 %
Se si esclude la provincia di Crotone commissariata nel dicembre 2008 dal Segretario Regionale per precedenti rilevanti problemi di carattere giudiziario e rilevantissimi problemi organizzativi (il Commissario è Nico Stumpo della Direzione Nazionale) in assoluto le quattro province italiane con la peggiore performance sono marchigiane.
ALTRI INTERESSANTI DATI DISPONIBILI SU (http://www.demos.it/) http://www.demos.it/a00301.php
Questo l’articolo:
MAPPE
Il Pd esule in casa
di ILVO DIAMANTI
· LE TABELLE
Come avviene puntualmente da 15 anni, anche queste elezioni sono state affrontate come un referendum. L'unico ammissibile, in Italia, oggi. Pro o contro Berlusconi. Il quale, a differenza delle ultime occasioni, questa volta ha perduto. E ha condizionato, in questo modo, la lettura del voto. Tuttavia, dalla consultazione esce sconfitto lui, ma non il centrodestra. Non certo la Lega. Ma lo stesso Pdl, per una volta, se l'è cavata meglio del suo leader. Come hanno confermato le elezioni amministrative. Nell'insieme, questa consultazione conferma un profondo mutamento dei rapporti fra politica, società e territorio, che investe entrambi gli schieramenti. Ne forniscono una raffigurazione plastica ed esemplare la Lega e l'Idv. I vincitori di queste elezioni. Non solo perché hanno guadagnato peso elettorale, in valori assoluti e percentuali, rispetto alle precedenti elezioni politiche ed europee. Ma perché, inoltre, si sono rafforzati rispetto agli alleati. Si tratta di partiti molto diversi, ma con alcuni tratti comuni. Anzitutto, i temi che hanno imposto all'agenda politica, in campagna elettorale.
In primo luogo: la sicurezza. Anche se la interpretano in modo alternativo. La Lega: come reazione alla "paura degli altri e del mondo", all'inquietudine prodotta dal cambiamento. È la "Lega degli uomini spaventati", che organizza le ronde: la comunità locale in divisa per difendersi dagli immigrati e dalla criminalità comune. L'Idv, invece, punta sulla domanda di legalità. Rivendica l'eredità della stagione di Tangentopoli, impersonata da Antonio Di Pietro. Sostiene i magistrati. Esercita un'opposizione intransigente. A Berlusconi. A ogni mediazione sui temi della giustizia. Per questo motivo nel 2006 si oppose - unica, non a caso, con la Lega - all'indulto.
Entrambi i partiti usano, in diverso modo e in diverso grado, uno stile populista: per linguaggio e comunicazione. Esprimono, tuttavia, valori molto diversi. E seguono modelli opposti: dal punto di vista organizzativo e nel rapporto con la società e il territorio. La Lega è un partito "territoriale". Nordista per geografia e identità. Impiantato su una base di volontari e militanti diffusa e persistente. L'Idv è, invece, un "partito senza territorio", orientato su questioni "nazionali". Con un elettorato proiettato, semmai, nel Centro-Sud. Dal punto di vista organizzativo, è ancora largamente fluido e sradicato. D'altronde, ha conosciuto un successo rapido e recente. Fino a oggi, la sua identità si è confusa con quella del leader. I diversi modelli espressi dai due partiti riflettono uno slittamento del rapporto fra politica e territorio, già segnalato. La sinistra utopica sta diventando atopica. Non solo l'Idv. Anche il Pd vede il proprio terreno sfaldarsi. Erede dei partiti di massa, il Pci e le correnti democristiane di sinistra, fino a ieri non era riuscito a scavalcare i confini delle zone rosse, dove però era saldamente insediato. Oggi, non più. Anche le zone rosse stanno diventando rosa. Segnate, qui e là, da alcune macchie di verde. Il Pd è il partito più forte solo in Emilia Romagna e in Toscana. Nelle Marche e perfino in Umbria è superato dal Pdl. Città e province tradizionalmente di sinistra scricchiolano. A Firenze e Bologna il Pd non è riuscito a imporre il suo candidato al primo turno. Delle 50 province dove governava, fino a pochi giorni fa, fin qui ne ha riconquistate solo 14 e 15 le ha già perdute. Delle 27 città capoluogo che amministrava fino a pochi giorni, il centrosinistra, al primo turno, ne ha mantenute sette mentre sei le ha cedute al centrodestra. Il quale sta piantando radici diffuse e profonde. Non solo la Lega. Nonostante l'insuccesso personale di Berlusconi, anche il Pdl ha dimostrato un buon grado di resistenza elettorale. Soprattutto nel Nord, dove ha sopportato lo scontro con la Lega. Per la prima volta, infatti, i due alleati non si sono cannibalizzati reciprocamente. Ha, inoltre, tenuto anche nelle regioni del Centro mentre ha perduto largamente nel Sud. Soprattutto in Sicilia, sua roccaforte. Dove ha pagato lo scontro con la Lega Sud di Lombardo. Suo alleato, fino a ieri. E forse di nuovo domani. Perché il Pdl, come prima Forza Italia, è un partito network. Aggrega soggetti politici e gruppi di potere radicati. Ciò lo rende forte e al tempo stesso vulnerabile. Esposto alle tensioni tra gli alleati, ai conflitti tra le diverse componenti locali. Il problema vero del centrodestra è che questa molteplicità di radici ha un solo, unico ceppo a cui attaccarsi. Una sola antenna, un solo volto attraverso cui comunicare insieme. Berlusconi. Risorsa. Ma anche limite. Come in questa occasione. Il centrosinistra però, asserragliato nei suoi confini, oggi deve affrontare la minaccia che viene da Nord. La Lega (centro) Nord in questa elezione si è sviluppata soprattutto nelle regioni rosse. In Emilia Romagna e nelle Marche. Che hanno una struttura sociale ed economica molto simile a quella del Nordest e della provincia del Nord. Territorio di piccole imprese globalizzate, investito da flussi migratori estesi. La Lega Nord è riuscita a entrare nel territorio della sinistra usando il linguaggio della paura e del localismo. Un linguaggio che non ha confini, ma serve a crearli. Fra le province dove è cresciuta maggiormente, rispetto alle politiche, ci sono Reggio Emilia, Modena, Forlì, Prato, Parma, Pesaro-Urbino. Ciò solleva una questione che va oltre il voto europeo e amministrativo. Riguarda il Pd. Angosciato da una sorta di "sindrome della scomparsa", ha accolto il risultato delle europee con sollievo. Quasi come un successo. L'esito del primo turno delle amministrative, tuttavia, ne ha ribadito il disagio. Perché il Pd fatica a riconoscersi nella terra dei suoi padri. D'altra parte, per questo è sorto: per superare i confini della propria identità. Al di là delle regioni di cui si sente prigioniero. Ma ora è disorientato. Insidiato dall'Idv, in ambito nazionale, fra gli elettori di opinione che chiedono "opposizione" e parole chiare. Minacciato nelle proprie roccaforti dalla Lega. Che usa il territorio come arma e come bandiera. Anche il Pd, come molti dei suoi elettori, si sente un po' esule a casa
Partito Democratico: dove si perde di più.
Le 15 province con il maggior calo percentuale rispetto al 2008
Crotone -16 %
Ascoli P. -12,6 %
Ancona -12,4 %
Macerata -12,3 %
Fermo -12 %
Chieti -11,7 %
Terni -11,3 %
Teramo -11,3 %
Pescara -11,3 %
Rieti -11,2 %
Taranto -11,1 %
Brindisi -10,6 %
L'Aquila -10,6 %
Lecce -10,4 %
Perugia -10,2 %
Se si esclude la provincia di Crotone commissariata nel dicembre 2008 dal Segretario Regionale per precedenti rilevanti problemi di carattere giudiziario e rilevantissimi problemi organizzativi (il Commissario è Nico Stumpo della Direzione Nazionale) in assoluto le quattro province italiane con la peggiore performance sono marchigiane.
ALTRI INTERESSANTI DATI DISPONIBILI SU (http://www.demos.it/) http://www.demos.it/a00301.php
Questo l’articolo:
MAPPE
Il Pd esule in casa
di ILVO DIAMANTI
· LE TABELLE
Come avviene puntualmente da 15 anni, anche queste elezioni sono state affrontate come un referendum. L'unico ammissibile, in Italia, oggi. Pro o contro Berlusconi. Il quale, a differenza delle ultime occasioni, questa volta ha perduto. E ha condizionato, in questo modo, la lettura del voto. Tuttavia, dalla consultazione esce sconfitto lui, ma non il centrodestra. Non certo la Lega. Ma lo stesso Pdl, per una volta, se l'è cavata meglio del suo leader. Come hanno confermato le elezioni amministrative. Nell'insieme, questa consultazione conferma un profondo mutamento dei rapporti fra politica, società e territorio, che investe entrambi gli schieramenti. Ne forniscono una raffigurazione plastica ed esemplare la Lega e l'Idv. I vincitori di queste elezioni. Non solo perché hanno guadagnato peso elettorale, in valori assoluti e percentuali, rispetto alle precedenti elezioni politiche ed europee. Ma perché, inoltre, si sono rafforzati rispetto agli alleati. Si tratta di partiti molto diversi, ma con alcuni tratti comuni. Anzitutto, i temi che hanno imposto all'agenda politica, in campagna elettorale.
In primo luogo: la sicurezza. Anche se la interpretano in modo alternativo. La Lega: come reazione alla "paura degli altri e del mondo", all'inquietudine prodotta dal cambiamento. È la "Lega degli uomini spaventati", che organizza le ronde: la comunità locale in divisa per difendersi dagli immigrati e dalla criminalità comune. L'Idv, invece, punta sulla domanda di legalità. Rivendica l'eredità della stagione di Tangentopoli, impersonata da Antonio Di Pietro. Sostiene i magistrati. Esercita un'opposizione intransigente. A Berlusconi. A ogni mediazione sui temi della giustizia. Per questo motivo nel 2006 si oppose - unica, non a caso, con la Lega - all'indulto.
Entrambi i partiti usano, in diverso modo e in diverso grado, uno stile populista: per linguaggio e comunicazione. Esprimono, tuttavia, valori molto diversi. E seguono modelli opposti: dal punto di vista organizzativo e nel rapporto con la società e il territorio. La Lega è un partito "territoriale". Nordista per geografia e identità. Impiantato su una base di volontari e militanti diffusa e persistente. L'Idv è, invece, un "partito senza territorio", orientato su questioni "nazionali". Con un elettorato proiettato, semmai, nel Centro-Sud. Dal punto di vista organizzativo, è ancora largamente fluido e sradicato. D'altronde, ha conosciuto un successo rapido e recente. Fino a oggi, la sua identità si è confusa con quella del leader. I diversi modelli espressi dai due partiti riflettono uno slittamento del rapporto fra politica e territorio, già segnalato. La sinistra utopica sta diventando atopica. Non solo l'Idv. Anche il Pd vede il proprio terreno sfaldarsi. Erede dei partiti di massa, il Pci e le correnti democristiane di sinistra, fino a ieri non era riuscito a scavalcare i confini delle zone rosse, dove però era saldamente insediato. Oggi, non più. Anche le zone rosse stanno diventando rosa. Segnate, qui e là, da alcune macchie di verde. Il Pd è il partito più forte solo in Emilia Romagna e in Toscana. Nelle Marche e perfino in Umbria è superato dal Pdl. Città e province tradizionalmente di sinistra scricchiolano. A Firenze e Bologna il Pd non è riuscito a imporre il suo candidato al primo turno. Delle 50 province dove governava, fino a pochi giorni fa, fin qui ne ha riconquistate solo 14 e 15 le ha già perdute. Delle 27 città capoluogo che amministrava fino a pochi giorni, il centrosinistra, al primo turno, ne ha mantenute sette mentre sei le ha cedute al centrodestra. Il quale sta piantando radici diffuse e profonde. Non solo la Lega. Nonostante l'insuccesso personale di Berlusconi, anche il Pdl ha dimostrato un buon grado di resistenza elettorale. Soprattutto nel Nord, dove ha sopportato lo scontro con la Lega. Per la prima volta, infatti, i due alleati non si sono cannibalizzati reciprocamente. Ha, inoltre, tenuto anche nelle regioni del Centro mentre ha perduto largamente nel Sud. Soprattutto in Sicilia, sua roccaforte. Dove ha pagato lo scontro con la Lega Sud di Lombardo. Suo alleato, fino a ieri. E forse di nuovo domani. Perché il Pdl, come prima Forza Italia, è un partito network. Aggrega soggetti politici e gruppi di potere radicati. Ciò lo rende forte e al tempo stesso vulnerabile. Esposto alle tensioni tra gli alleati, ai conflitti tra le diverse componenti locali. Il problema vero del centrodestra è che questa molteplicità di radici ha un solo, unico ceppo a cui attaccarsi. Una sola antenna, un solo volto attraverso cui comunicare insieme. Berlusconi. Risorsa. Ma anche limite. Come in questa occasione. Il centrosinistra però, asserragliato nei suoi confini, oggi deve affrontare la minaccia che viene da Nord. La Lega (centro) Nord in questa elezione si è sviluppata soprattutto nelle regioni rosse. In Emilia Romagna e nelle Marche. Che hanno una struttura sociale ed economica molto simile a quella del Nordest e della provincia del Nord. Territorio di piccole imprese globalizzate, investito da flussi migratori estesi. La Lega Nord è riuscita a entrare nel territorio della sinistra usando il linguaggio della paura e del localismo. Un linguaggio che non ha confini, ma serve a crearli. Fra le province dove è cresciuta maggiormente, rispetto alle politiche, ci sono Reggio Emilia, Modena, Forlì, Prato, Parma, Pesaro-Urbino. Ciò solleva una questione che va oltre il voto europeo e amministrativo. Riguarda il Pd. Angosciato da una sorta di "sindrome della scomparsa", ha accolto il risultato delle europee con sollievo. Quasi come un successo. L'esito del primo turno delle amministrative, tuttavia, ne ha ribadito il disagio. Perché il Pd fatica a riconoscersi nella terra dei suoi padri. D'altra parte, per questo è sorto: per superare i confini della propria identità. Al di là delle regioni di cui si sente prigioniero. Ma ora è disorientato. Insidiato dall'Idv, in ambito nazionale, fra gli elettori di opinione che chiedono "opposizione" e parole chiare. Minacciato nelle proprie roccaforti dalla Lega. Che usa il territorio come arma e come bandiera. Anche il Pd, come molti dei suoi elettori, si sente un po' esule a casa
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