martedì 17 novembre 2009

RESPINTI


A volte basta un disegno, uno schizzo, non solo per comunicare un’idea, ma anche per suscitare una degna reazione, risvegliare qualche senso di repulsione, qualche moto di ribellione interiore, rompere uno schema mentale imposto. Proprio per questo motivo abbiamo deciso di lanciare questa campagna con una nuova provocazione contro il razzismo governativo, contro le nuove leggi razziali, contro i respingimenti orditi dalla Lega, ma voluti dall’intero sistema politico-mafioso, sotto la cui mannaia finiscono migliaia di uomini, donne e bambini, costretti con la violenza a tornare verso le carceri e le torture libiche o abbandonati a loro stessi nelle acque del mediterraneo, per andare incontro ad una sicura morte. Dietro simili vergognosi e disumani provvedimenti si nascondono i soliti interessi, le solite facce, le solite speculazioni mafiose, le mani in pasta di chi si organizza per sfruttare nuovi schiavi, senza diritti e sotto ricatto, dopo l’approvazione del reato di clandestinità. Ma non basta. Ad essere respinta è anche la memoria storica, il ricordo, il nome di chi ha lottato, di chi ha perso la vita perché si è ribellato, di chi aveva scoperto, come Peppino, che troppo spesso la bramosia di potere e di denaro dei potenti e della criminalità organizzata coincidono. Tutti respinti, quindi, con il plauso di chi già pensa a riempirsi le tasche, con l’indifferenza o l’accettazione di quanti, ormai plagiati, diventano così, senza esserne coscienti, complici di un sistema criminale e la determinazione di chi non abbassa la testa e continua a resistere, resistere nella volontà di accogliere e non di respingere.

Associazione Peppino Impastato - Casa Memoria

giovedì 15 ottobre 2009

Discorso ai Lavoratori di Dario Franceschini



Prato, 15 ottobre 2009


Qualche tempo fa mi è capitato di parlare a dei bambini di Costituzione.
Quando ho detto che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro, uno di quei bambini, avrà avuto più o meno undici anni, mi ha chiesto: il lavoro di chi?
Allora ho pensato alle ragioni che potevano aver indotto quel bambino a fare quella domanda.
Sembrava una battuta. Il lavoro di chi? Forse perché si è fatto largo lo l’idea di un Paese forse perché in televisione un ministro particolarmente aggressivo parla sempre e solo di fannulloni.
O forse perché in questo tempo di crisi non si fanno che ripetere cifre e statistiche di disoccupazione che cresce settimana dopo settimana.
Di cassa integrazione da estendere per chi sta perdendo il posto.
Di imprese costrette a chiudere per mancanza di credito da parte delle banche.
Di precari a zero euro.
Il lavoro di chi.
Pone che la questione del la questione del lavoro, e la stessa condizione dei lavoratori e degli operai sono state trascurate dalla politica.
Perché questa perdita di centralità del lavoro?
Ci sono radici naturalmente nei cambiamenti economici e sociali della nostra epoca.
Il differenziarsi dei lavori, quel differenziarsi che ha indebolito i legami di rappresentanza sindacale prima ancora che politica.
E di conseguenza l’appannarsi della tradizionale identità della classe operaia.
Ma poi anche le fratture fra il lavoro tradizionale e i nuovi lavori, le incomprensioni fra lavoratori adulti e il mondo dei giovani; le tensioni più recenti fra italiani e immigrati acuite da distanze culturali e ora dalla crisi.
Queste fratture sono state aggravate dalle politiche conservatrici, in Italia più forti e più conservatrici che altrove.
Fratture che hanno aumentato le incertezze e la precarietà di molti lavoratori.
Che hanno reso più deboli le loro posizioni sia nella scala sociale sia soprattutto nei livelli di reddito con rischi ed episodi di vero e proprio impoverimento. Oggi la crisi economica rischia di dare l’ultimo, decisivo colpo a quella centralità. Lo dicono i dati.
Lo svela la crescita drammatica della disoccupazione anche nelle zone forti del paese.
Lo si vede dal numero crescente di persone, in particolare giovani e donne, che sono così scoraggiati da non presentarsi neppure più sul mercato del lavoro a cercare un posto.
I dati fanno paura. Più di 560 mila posti di lavoro persi nel secondo trimestre del 2009 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e 340 mila persone in cassa integrazione, e in più oltre 430 mila persone che diventano inattive, scoraggiate al punto da non cercare nemmeno più un lavoro.
Esistono aree del nostro Paese, come il Sud, dove la disoccupazione riguarda il 25 per cento dei giovani fino a 30 anni e il tasso di occupazione delle donne supera di poco il 30%, lavora una donna su tre. Questa realtà drammatica, che sta provocando lacerazioni profonde e dolorose nel tessuto sociale è negata dal governo.
Tenuta nascosta dal governo. E’ oscurata. Il governo di Berlusconi e Tremonti di fronte alla crisi ha sostanzialmente chiuso gli occhi. Ha girato la testa dall’altra parte e ha detto soltanto che bisogna aspettare che la crisi finisca. Ha messo in campo misure effimere e del tutto inadeguate.
E ha spento i riflettori dell’informazione.
Così ai precari che si sono ritrovati di colpo a zero euro, ai disoccupati, ai cassintegrati non è rimasta che la paura e la disperazione.
A un governo così non si offrono pacche sulle spalle o tregue, a un governo così si fa più opposizione, dobbiamo fare più opposizione.
La protesta e la rabbia, senza reali interlocutori, ha assunto forme estreme. Abbiamo visto operai sulle gru. Abbiamo visto precari sui tetti.
Abbiamo visto lavoratori licenziati fare lo sciopero della fame. E poi non abbiamo visto più niente, perché chi controlla l’informazione televisiva di questo Paese ha ordinato di spegnere le telecamere, ha ordinato di non fare vedere più niente.. Ma quegli operai, quei lavoratori, quei precari che io ho incontrato in queste settimane, ci sono ancora.
Ci sono la loro disperazione, quella delle loro famiglie. E ci sono le loro lotte.
Ho cercato di parlare parlato con loro e ho promesso loro che avremmo acceso i nostri riflettori sulle loro attese.
Sui loro problemi.
Sul loro diritto al futuro. E al lavoro.
Dobbiamo e vogliamo reagire, perché il lavoro è un diritto.
Dobbiamo farlo anche perché è su questa trincea di libertà e uguaglianza che si gioca il futuro stesso di una politica che voglia dirsi democratica e riformista.
Dobbiamo riconoscerlo senza reticenze: la nostra politica è sfidata direttamente, perché la perdita di
centralità del lavoro, è soprattutto una sconfitta per il paese, una sconfitta prima di tutto per noi riformisti, per noi progressisti.
E dobbiamo anche chiederci : Perché tanti lavoratori non si fidano più di noi?
Perché tanti operai non votano più per noi, ma per i nostri avversari?
Perché al Nord abbiamo perso tanti consensi nel mondo del lavoro che si sono orientati verso i partiti del centro destra, in particolare verso la Lega Nord?
La Lega cattura consensi perché raccoglie spregiudicatamente, ma raccoglie il disagio sociale manifestato dai ceti popolari, la protesta nei confronti del tradizionale modo di fare politica e di amministrare, che è stato rappresentato ed è percepito come ‘romanocentrico’.
Non a caso la protesta viene diretta nella stessa misura contro i partiti e contro le istituzioni statali,
entrambi sentiti come lontani o e forse anche come ostili. Questa protesta, questo disagio è più acuto nelle aree del Nord.
Ma la sfida all’inadeguatezza della politica, della nostra politica, è fatta propria anche da operai che
mantengono la loro adesione ai sindacati, comprese le loro componenti radicali ma poi quando votano scelgono a destra.
Come reagiamo a questa sfida?
Una prima risposta la dico così: tornare ad ascoltare e a riconoscere le aspettative dei lavoratori, di tutti i tipi di lavoratori.
Dare riconoscimento significa aprire un dialogo con tutti questi soggetti e con le loro rappresentanze per cercare insieme le risposte adeguate alla complessità di problemi per molti aspetti inediti. Ma c’è una premessa di ordine culturale che riguarda il nostro modo di guardare al mondo del lavoro e alla sua crisi.
Storicamente quando parlavamo di lavoratori negli anni passati intendevamo i lavoratori dipendenti. I
subordinati. Gli operai. Sono stati questi gli interlocutori tradizionali della sinistra.
Gli altri soggetti del lavoro erano controparte. Spesso avversari. Quando andava bene erano alleati con i quali stringere un patto.
Ma il mondo è cambiato e già nella mia mozione ho sottolineato la necessità di un cambio di prospettiva.
La necessità, cioè, di allargare questo orizzonte.
Di rivolgersi a tutto il mondo del lavoro, perché il lavoro va valorizzato in tutte le sue forme, anche quello autonomo e imprenditoriale, anche quello privato e quello pubblico come richiede la nostra Costituzione.
Questo non significa ignorare le diversità di posizioni fra lavoro dipendente, lavoro autonomo e imprese. E non esclude nemmeno la possibilità di un sano conflitto.
Sono venuto a Prato, a parlare di lavoro, perché proprio qui, qualche mese fa, ero appena diventato
segretario, ho fatto un’esperienza che mi ha colpito e che mi ha fatto capire come sia assolutamente
necessario e urgente cambiare prospettiva quando parliamo di lavoro.
Ricordo la visita ad una piccola realtà produttiva, una delle tante del settore tessile, alle prese con i morsi della crisi e con la sfida di una globalizzazione sempre più aggressiva.
Lì ho incontrato un piccolo imprenditore Andrea Belli e i suoi operai, mi hanno accolto insieme.
Si parlava dei problemi, delle prospettive. Dell’ipotesi di ricorrere alla cassa integrazione.
Mi spiazzò. Mi disse: o superiamo la crisi tutti assieme, o chiudo.
E questa realtà si replica in centinaia e migliaia di casi in Italia.
Se non temessi di scomodare una parola importante parlerei di un’etica del lavoro che unisce, in un’
azienda, come in tante altre, chi si impegna per lo stesso obiettivo.
E’ la stessa logica vincente del distretto, che vede insieme, nella filiera, piccole imprese, artigiani, operai. E quel che conta è la filiera: si vive insieme, si cresce insieme, ci si salva insieme. È questo quello che fa la differenza.
Il distretto è come una squadra, nella quale ognuno, privato, pubblico, enti locali, associazioni di categorie, sindacati, fa la propria parte. Qualcosa di più solido e forte di un semplice patto o di un’alleanza. Credo che avesse questo significato profondo quella manifestazione del febbraio scorso nella quale tutta la città scese in piazza, riunita attorno ad un tricolore lungo un chilometro. E con uno slogan che diceva “Prato non deve chiudere”.
Prato non deve chiudere: significa difendiamo il lavoro di tutti.
Il lavoro che da ricchezza, certo. Ma anche il lavoro che è civiltà, comunità, libertà.
Ecco.
E per questo che ci siamo fatti carico dei problemi e delle esigenze del distretto, presentando una mozione in Parlamento.
Per ricostruire una centralità del lavoro, occorre avere la consapevolezza di questo cambiamento, di non ragionare coi parametri del passato.
Di quello che c’è di complesso attorno al lavoro.
La crisi e i lavoratori, dunque. Ascoltare e riconoscere. E rappresentarli.
E per farlo rendere visibili, concrete le nostre risposte.
Concrete le nostre iniziative politiche. Essere sui problemi, fare emergere le contraddizioni della destra, costruire con i fatti non solo con le parole, un’alternativa possibile.
Oggi ci sono lavoratori di ogni tipo sono esposti a sfide competitive comuni senza precedenti.
Queste sfide non si vincono senza un impegno congiunto; a cominciare da quello di rilanciare la crescita e di aumentare la competitività del sistema paese.
Solo puntando su una crescita basata sull’innovazione e sulla qualità si può vincere la crisi, si può produrre nuova occupazione.
Si può contrastare la tendenza alla depressione dei salari e delle pensioni e al peggioramento delle
condizioni di lavoro.
L’ho già detto: i lavoratori sono quelli che stanno pagando i prezzi più alti, con la disoccupazione, con la precarietà e con l’incertezza delle prospettive dei giovani, con le tasse che pagano sempre anche per chi le evade.
E’ da mesi che il governo fa promesse, ma non prende iniziative concrete per contrastare l’emergenza della crisi, per sostenere i consumi e le imprese.
Non lo diciamo noi, faziosi esponenti dell’opposizione, I più attendibili rapporti internazionali dimostrano che le risorse impegnate dal nostro governo per stimolare l’economia sono le più scarse fra tutti i paesi dell’OCSE, quasi nulle. Il Fondo monetario internazionale ha detto che misure per affrontare l’emergenza l’Italia ne ha messe meno della metà degli altri paesi europei.
Parliamo di risorse effettive e non di partite di giro.
Non solo. Il governo non aiuta il lavoro e l’economia, ma sta anche smantellando le tutele del lavoro prodotte dal centrosinistra, da ultimo con il patto sociale del 23 luglio 2007. E sta allargando le possibilità di contratti precari e a termine.
Rifiuta di stabilizzare i tanti precari del settore pubblico.
Nella scuola ha realizzato il più grande licenziamento di massa nella pubblica amministrazione: 130.000 persone che si sono ritrovate di colpo a zero euro.
Se con una mano il governo dice di volere aiutare i lavoratori che perdono il lavoro con gli ammortizzatori sociali, poi con l’altra mano ne licenzia subito 130 mila. Ha indebolito la normativa sulla sicurezza del lavoro che il centrosinistra aveva varato dopo anni di attesa con il consenso di tutte le regioni.
Sta attaccando e demonizzando i lavoratori pubblici, considerandoli tutti incapaci o sfaticati. Senza fare niente per motivarli.
Queste politiche non vanno solo contro gli interessi dei lavoratori; hanno indebolito l’intero paese. ci fanno perdere posizioni perché rinunciano a valorizzare le nostre risorse migliori: il capitale umano e le energie di milioni di persone.
Ma non possiamo limitarci a denunciare la gravità di questa situazione.
Per questo abbiamo avanzato proposte precise, le abbiamo portato in parlamento proprio perché abbiamo chiesto che ci fosse la responsabilità di una risposta, un sì o un no.
Le hanno bocciate tutte.
Hanno detto no alla nostra proposta di garantire tutele adeguate a tutti i lavoratori minacciati dalla crisi, a tutti i lavoratori che perdono il proprio posto di lavoro a prescindere dal tipo di contratto, bisogna essere tutti garantiti allo stesso modo, non ci possono essere differenze anche lì..
Hanno rifiutato il nostro progetto di dare sostegno ai lavoratori e alle famiglie in condizioni di povertà estrema, attraverso un contributo di solidarietà sui redditi più alti, da quelli dei parlamentari in su. E cosa c’è di politicamente più corretto e moralmente più giusto che in un momento di crisi chiedere ha chi ha di più di aiutare chi è più povero?
Hanno rifiutato le proposte avanzate insieme a tutte le forze sociali, sindacati e associazioni imprenditoriali, per sostenere con forme di detassazione i redditi da lavoro e da pensione.
Noi insisteremo. Concentreremo le nostre iniziative su quelle che consideriamo le priorità di una politica per il lavoro.
Dico i titoli di questo albo degli impegni: la sicurezza e la tutela del reddito, la buona occupazione e la lotta alla precarietà, il welfare universale e pensioni adeguate, educazione e formazione permanente all’altezza della società della conoscenza.
Ma cosa vuol dire sicurezza e garanzie di reddito a tutti i lavoratori?
Prima di tutto significa una vera riforma degli ammortizzatori sociali.
Una riforma che garantisca a ogni lavoratore un reddito nel caso di perdita o di sospensione dal lavoro. I cosiddetti ammortizzatori in deroga varati dal governo sono insufficienti e ingiusti. Lo sono perché non danno né reddito né garanzie a quelli che hanno più bisogno, i precari con lavori a termine, i contratti a progetto, le false partite Iva. Quando il governatore della Banca d’Italia Draghi avvertiva, inascoltato, che 1.600.000 lavoratori erano privi di tutela, lanciava un allarme giustificato. Ora questi 1.600.000 non sono più solo un numero: sono persone in carne e ossa che il governo dimentica e inganna.
E anche i dipendenti con contratto regolare sono privi di sicurezze.
Quelli che hanno la cassa integrazione ordinaria stanno per perderla perché il prolungarsi della crisi ha consumato il periodo di copertura.
E’ urgente che il governo decida di prolungarla.
Le piccole e medie imprese e i loro dipendenti spesso non riescono a beneficiare delle casse in deroga a volte semplicemente non sanno che potrebbero farlo o non sanno quale canale utilizzare, altre volte non ci riescono perché le procedure sono complicate e richiedono provvedimenti caso per caso.
E poi non è giusto che chi resta senza lavoro abbia bisogno di una deroga cioè di una “concessione
discrezionale” caso per caso, deve essere un diritto, garantito a tutti.
Noi vogliamo che le tutele in caso di crisi siano un diritto esigibile per tutti.
Questo chiediamo al governo subito.
E lo chiediamo con una sola voce, insieme con i sindacati e insieme con gli imprenditori.
Questo autunno e il prossimo inverno saranno decisivi.
Finora le imprese hanno cercato di evitare i licenziamenti, ma non possono resistere a lungo senza aiuti. Rischiamo di veder chiudere centinaia di imprese, di indebolire drammaticamente il nostro tessuto produttivo, di portare alla povertà di colpo migliaia di persone.
Oltre al reddito di chi resta disoccupato va sostenuto il reddito di chi lavora e di chi è in pensione.
La crisi non colpisce tutti nello stesso modo.
Sono i lavoratori e i pensionati quelli che hanno visto cadere il loro potere d’acquisto. Mentre i profitti e le rendite sono cresciute di molto anche durante la crisi.
Il governo deve trovare le risorse per risarcire questi cittadini: in modo diretto e immediato, con una
detassazione dei loro redditi che ripristini il potere d’acquisto che hanno perso.
Anche qui, abbiamo lanciato una sfida al governo: cominciamo subito, hanno fatto tanti decreti, ne facciano uno in più per detassare la tredicesima. Si può fare subito.
E in prospettiva impegniamoci per riequilibrare il peso del fisco: troppe tasse sul lavoro, sono 5 punti in più della Francia - e troppo poche sulle rendite, così come sui patrimoni e sui consumi.
E ancora appoggiamo la richiesta, avanzata anche dai sindacati, di detassare gli aumenti contrattati in sede decentrata e quelli legati alla produttività. Una misura necessaria per contribuire alla crescita.
Siamo quindi favorevoli a potenziare la contrattazione decentrata, sia nelle aziende sia nei territori.
Sosteniamo una contrattazione innovativa che veda protagonista un sindacato autorevole e autonomo.
Siamo convinti assertori del valore dell’autonomia sindacale. Ma autonomia non significa indifferenza. Siamo interessati, continueremo a dirlo , che l’Italia ha bisogno della presenza di un sindacato forte, unitario e democratico, anche nella sua vita interna.
-Per questo auspichiamo un accordo fra le confederazioni che stabilisca regole certe per la rappresentatività sindacale, basata sulla certificazione degli iscritti e dei voti conseguiti nelle elezioni in azienda. Una posizione unitaria del sindacato consentirebbe di recepire queste regole in una legislazione di sostegno.
Siamo anche interessati a diffondere la partecipazione di lavoratori alla vita e agli utili delle imprese come previsto nelle proposte che abbiamo avanzato in Parlamento.
Non si tratta di introdurre una cogestione che confonda i ruoli nell’azienda né tanto meno di imporla per legge. Però i tratta di valorizzare, attraverso la libera contrattazione, il coinvolgimento dei lavoratori nelle vicende e nei risultati aziendali, secondo le migliori prassi europee e anche perché questo serve a superare prima la crisi, non mettendoli gli uni contro gli altri, ma mettendoli insieme per superarla.
Una crisi che improvvisamente ci ha rimesso di fronte ad una parola per molto tempo negata: povertà. La crisi sta impoverendo centinaia di migliaia di famiglie, specie lavoratori e pensionati.
Oltre 3 milioni sono sotto la soglia della povertà assoluta. In Sicilia il livello di povertà ha quasi raggiunto il 50%. In tutto il paese sono raddoppiati i protesti.
Il rischio di insolvenza per le bollette domestiche e i mutui e stimato intorno al 38%.
I poveri esistono. E non sono solo quelli che non hanno mai avuto un lavoro o che sono precipitati nel baratro della disoccupazione.
C’è una fascia sempre più larga di persone a rischio: sono quei lavoratori, e sono tanti, che hanno salari bassi, indegni di un paese civile.
I lavoratori poveri, e sono anche fra noi. E sono gli stessi che sono già penalizzati dalla precarietà del lavoro: lavoratori temporanei, collaboratori, false partite Iva.
Noi non possiamo accettare che lavoratori impegnati a pieno tempo, spesso in occupazioni qualificate, guadagnino 600 euro al mese, magari senza essere regolarizzati.
Per questo abbiamo proposto di introdurre anche in Italia, come in tutti i maggiori paesi occidentali, un salario minimo legale sotto il quale non è possibile retribuire chi lavora, non gli si può dare meno di quella soglia, qualsiasi lavoro faccia.
Il livello di questo salario va definito d’intesa con le parti sociali, ma deve essere una garanzia per tutti, anche per i lavoratori precari e per chi opera in settori marginali, che non sono coperti dalla contrattazione collettiva.
Deve servire di base per una vita civile a chiunque lavora e può essere utile alla contrattazione sindacale per sostenerla e migliorarla proprio nei settori e nei gruppi più deboli.
Tutele, dunque. E sicurezza sociale. Ma anche sostegno del mercato del lavoro. Cioè politiche attive e efficaci servizi all’impiego che aiutino all’inserimento e al reinserimento al lavoro di chi è in difficoltà, come esistono nelle migliori esperienze europee e in alcune regioni italiane.
E insieme a queste un sistema di formazione professionale e continua capace di favorire la riqualificazione e il reimpiego di tutti coloro che perdono il lavoro, ma anche di quelli che sono colpiti dalle crisi, per prevenire la disoccupazione. Tutto questo disegna il profilo di un welfare moderno. Le grandi trasformazioni dell’economia, le pressioni della competitività con le conseguenti variabilità e incertezze del lavoro non si possono affrontare con gli strumenti del passato, né con regole diverse per i diversi lavori, che aumentano le diseguaglianze invece di tutelare le persone.
Occorre ricreare una base di tutele e di diritti comuni a tutto il mondo del lavoro, che superi le divisioni e ridia prospettive di concreta solidarietà a tutti i lavoratori.
Una base comune che deve riguardare i principali bisogni legati alle vicende della vita lavorativa: le tutele in caso di disoccupazione, il salario minimo di cui ho parlato, un reddito di base per chi non ha lavoro, tutele in caso maternità, malattia e infortunio, una pensione di base finanziata fiscalmente che garantisca a tutti un livello di reddito adeguato alle esigenze della vita anziana, cui vanno aggiunte le pensioni contributive.
E a proposito di pensioni. Nei giorni scorsi il governatore Draghi ha posto il tema dell’innalzamento dell’età effettiva di pensionamento come una necessità da affrontare.
E noi dobbiamo avere il coraggi di dire che non abbiamo pregiudizi. Siamo convinti che sia arrivato il tempo di un patto tra generazioni con il quale chiedere ai genitori di lavorare qualche anno in più se questo serve per assicurare un futuro previdenziale e ammortizzatori sociali ai figli, allora si può fare.
Il tema del lavoro, il lavoro che non c’è, che è incerto, che può finire. Tutto ciò è ancora in cima alle nostre preoccupazioni.
E alle preoccupazioni degli italiani.
Ma l’obiettivo della piena e buona occupazione, tanto più in uno scenario di crisi come quello che viviamo, è destinato a restare un’utopia?
Non credo sia così.
E’ possibile raggiungerlo, quell’obiettivo.
Ma servono buone politiche.
Serve promuovere una crescita equilibrata dell’economia reale, e non della finanza, aiutando le imprese che innovano, che creano occupazione qualificata e stabile, non quelle che vivono di rendita.
Ci sono settori in cui l’Italia può far pesare i suoi saperi, la sua capacità tecnologica, i talenti della nostra ricerca.
E penso in particolare al settore della green economy.
Secondo i dati dell’Ocse i paesi che più hanno investito nella green economy mostrano come questa abbia un grande potenziale di creare lavoro, lavoro di buona qualità.
L’amministrazione Obama mira a creare 450.000 “green collar” jobs nei prossimi anni.
La Corea ha lanciato un “green New Deal” con l’obiettivo di creare 1 milione di nuovi posti nei prossimi 4 anni.
Il Giappone raddoppierà l’attuale occupazione nelle industrie dell’economia dell’ambiente.
E la Germania arriverà a 900.000 lavori verdi nel 2030 ma nei servizi di protezione dell’ambiente lavorano già 1milione e 800 mila persone.
I nuovi lavori verdi saranno più puliti, più ricchi di professionalità e più stabili.
L’ambiente e la green economy sono i pilastri del nuovo “welfare umano”.
E se parliamo di nuovo welfare, allora dobbiamo rimettere al centro dell’attenzione gli anelli più deboli delle politiche del lavoro: i giovani e le donne. E allora.
Serve garantire a tutti un’educazione di qualità nel corso della vita, favorendo l’occupazione qualificata dei giovani con migliori strumenti di transizione dalla scuola al lavoro, e combattendo la precarietà e la “sindrome del ritardo” che ne ritarda sempre di più l’autonomia dalla famiglia.
Serve incentivare il lavoro delle donne con misure che favoriscano, aiutino la conciliazione fra lavoro e vita familiare e la condivisione del lavoro di cura e quindi rafforzino la libertà di scelta delle donne, attraverso congedi retribuiti per entrambi i genitori, servizi di cura all’infanzia e agli anziani, un impegno culturale che promuova la redistribuzione dei ruoli fra uomini e donne all’interno della famiglia, perché le donne continuano a far eun doppio lavoro anche quello che potremmo, in buona parte, fare noi uomini con loro.
Mettere in campo politiche attive e di valorizzazione del lavoro significa soprattutto dare un posto centrale alla formazione, da quella di base a quella professionale e continua nel corso della vita.
Nella nostra società della conoscenza il grado e la qualità dell’educazione è condizione essenziale per una cittadinanza attiva e per avere opportunità di buon lavoro.
E’ un elemento fondante della stessa identità personale.
Per questo il diritto all’educazione continua deve essere al centro del nuovo welfare. Migliorare l’educazione, rivalutare la cultura tecnica, oggi spesso deprezzata, serve a dare ai giovani le stesse opportunità che hanno i loro coetanei europei.
Formazione, professionalità e merito.
Merito è una parola della mia mozione. Vale anche per il lavoro.
Dobbiamo valorizzare il merito nelle organizzazioni economiche e nella vita sociale.
Dobbiamo dirlo con chiarezza: qui ci sono ritardi da recuperare per tutti, tutti abbiamo la colpa di troppi ritardi, Se davvero vogliamo cambiare l’Italia, se davvero vogliamo liberare il futuro da antiche incrostazioni, da insopportabili ingiustizie, da inaccettabili privilegi, da opprimenti pigrizie, allora dobbiamo cominciare riconoscendo e premiando il merito. A cominciare dai luoghi del lavoro.
E c’è un’altra parola che voglio usare parlando del lavoro.
E’ la parola dignità. Il lavoro è fatica. E’ necessità. Ma è prima di tutto dignità. Ad esso è legato il nucleo decisivo dei diritti di cittadinanza, a cominciare dalla libertà.
Non a caso le democrazie contemporanee sono fondate sul valore del lavoro.
Ed è importante “se” si lavora, ma anche “come” si lavora. La gratificazione e la possibilità di
autorealizzazione che sono legate al lavoro. Per questo merito e dignità stanno necessariamente insieme. E’ difficile dire queste cose oggi, in questo tempo dominato dalla crisi, certo, ma segnato ancora di più da un pensiero ultraliberista che ha imposto ad una generazione, in nome del mercato senza regole e del profitto senza limiti, come unici obiettivi della vita individuale e sociale, l’orizzonte della precarietà e dell’incertezza.
Ha scritto, a questo proposito, Nadia Urbinati, delle parole molto chiare e molto dure: “l’incertezza per il futuro non è la stessa cosa del rischio e della libertà di scelta: è una condizione paralizzante perché non consente di fare progetti e quindi scoraggia l’iniziativa, dequalifica il lavoro, deprime la produttività. Infine incatena alla propria condizione non meno del vituperato posto fisso”.
Dobbiamo cambiare schema. Dobbiamo cambiare anche la scala dei valori. Delle priorità. La gerarchia delle cose che contano è la nostra prima sfida.
Rimettiamo in alto il lavoro, il suo valore, la sua qualità come fattore decisivo di una democrazia vitale. E’ il nostro impegno. Qui. Adesso.

Primarie 2009 del Partito Demoratico


PARTITO DEMOCRATICO ELEZIONI PRIMARIE 2009

Quando si vota


· Si vota Domenica 25 Ottobre, dalle ore 7,00 alle ore 20,00.

Come si vota


· Si vota apponendo una croce sul logo del candidato alla segreteria nazionale/regionale

prescelto.

Chi può votare


· Possono votare, versando 2 Euro:
· gli iscritti al PD,
· tutti i cittadini italiani o dell’Unione Europea residenti in Italia,
· cittadini e cittadine di altri paesi in possesso del permesso di soggiorno
che abbiano compiuto 16 anni e che, riconoscendosi nella proposta politica del PD si impegnano a sostenerla ed accettano di essere inseriti nell’albo pubblico delle elettrici ed elettori del PD.

Dove si vota


ACQUASANTA TERME, sala dei combattenti,via salaria;
ACQUAVIVA PICENA, sala consiglio comunale,via fonte palanca;
APPIGNANO DEL TRONTO, sala protezione civile,via roma;
ASCOLI PICENO 1, sala docens,piazza roma; ASCOLI PICENO 2, gazebo in piazza,fraz. Mozzano; ASCOLI PICENO 3, sala circoscrizione c/o ferrucci,via tucci; ASCOLI PICENO 4, sala tufilla club,via amadio; ASCOLI PICENO 5, centro sociale anziani,via Napoli; ASCOLI PICENO 6, sala ex circoscrizione,via delle primule; ASCOLI PICENO 7, sala condominiale coop 25 aprile,via liberta'; ASCOLI PICENO 8, poggio di bretta,via e. luzi; ASCOLI PICENO 9, villa sant'antonio;
CARASSAI, sala comunale,piazza Matteotti;
CASTEL DI LAMA 1, sede pd,via adige; CASTEL DI LAMA 2, bocciodromo,via della liberta'; CASTEL DI LAMA 3, biblioteca comunale,via roma;
CASTIGNANO, sala ex tirassegno,c.da s. martino;
CASTORANO 1, sala consiliare,via orazi; CASTORANO 2,delegazione comunale,f.ne s. silvestro;
COLLI DEL TRONTO, sala carradori,via salaria;
COMUNANZA, sala consiliare,piazza iv novembre;
COSSIGNANO, sala delle culture,piazza umberto I;
CUPRAMARITTIMA, sala c.i.f. plesso scolastico,s. statale adriatica;
FOLIGNANO, sede pd,viale assisi;
FORCE, palazzo comunale,piazza v. Emanuele;
GROTTAMMARE 1, sala consiliare,via Matteotti; GROTTAMMARE2,delegazione comunale,via ischia;
MASSIGNANO, sala polivalente giovanile,viale rimembranze;
MONSAMPOLO, accanto alla chiesa,via parini;
MONTALTO DELLE MARCHE, sede pd,via roma;
MONTEFIORE DELL ASO, cinema sabatini,piazza della repubblica;
MONTEPRANDONE 1, ex sala dei codici di s.giacomo ,via roma; MONTEPRANDONE 2, bocciodromo comunale, piazzale dello stadio;
OFFIDA 1, sala consiliare comunale,c.so serpente aureo; OFFIDA 2, impianti sportivi,quartiere cappuccini; OFFIDA 3, circolo e. fabrizi, via togliatti; OFFIDA 4, locale mandozzi,piazza borgo miriam; OFFIDA 5, circolo ricreativo ,loc. san Lazzaro;
RIPATRANSONE, sala ascanio condivi,via xx settembre;
ROCCAFLUVIONE, alimentari ida,via picena inferiore;
ROTELLA, palazzo magnalbo',corso umberto I;

S. BENEDETTO DEL TRONTO 1, sede unione,via balilla; S. BENEDETTO DEL TRONTO 2, istituto santa gemma,via voltattorni; S. BENEDETTO DEL TRONTO 3,auditorium comunale,viale de gasperi; S. BENEDETTO DEL TRONTO 4, auditorium comunale,viale de gasperi; S. BENEDETTO DEL TRONTO 5, sede pd,via d. chiesa; S. BENEDETTO DEL TRONTO 6, centro culturale,via gronchi;
SPINETOLI 1, sede comunale,piazza g. leopardi; SPINETOLI 2, bocciodromo comunale san pio x,loc. san pio x; SPINETOLI 3, sede pd,via v. Emanuele; SPINETOLI 4, circolo culturale salaria, via a. de gasperi;


RICORDA di portare con te un valido documento di identità e la scheda elettorale.

info su seggi e modalità di voto: 329.36.063.02, 340.25.199.54; 331.13.596.27;
http://www.ascolidemocratica.it/

domenica 13 settembre 2009


Care iscritte, cari iscritti,

in questi giorni si sta votando in tutti i circoli d’Italia. Mi rivolgo direttamente a voi perché conosco la vostra passione e il vostro attaccamento al partito. In ogni Festa, in ogni assemblea, in ognuno dei mille circoli di tutte le province italiane in cui sono andato da segretario, ho ascoltato le vostre speranze e ho capito le delusioni per quello che si poteva fare meglio e non è stato fatto. Perché di certo abbiamo fatto errori ma ora dobbiamo rimboccarci le maniche e correggerli, andando però avanti nella nuova storia comune che abbiamo appena iniziato a vivere. Il mio impegno è questo: non tornare indietro. Non tornare indietro rispetto alla scelta di un partito radicato nel territorio, con un Circolo in ogni comune e in ogni quartiere. Un partito aperto, che unisce la straordinaria forza dei nostri iscritti e dei nostri militanti alle energie di tanti elettori pronti a lavorare con loro per un progetto in cui credono. Non tornare indietro rispetto all’idea di un partito ricco di diversità come tutti i grandi partiti nel mondo. Abbiamo scelto noi di chiudere una lunga stagione di divisioni per far nascere il Pd, la casa di tutti i progressisti: laici, cattolici, di sinistra, ambientalisti, liberal, socialisti. E così deve restare il Pd: il partito in cui quelle diversità sono la ricchezza che permette di costruire la sintesi e la linea comune. Per questo sono orgoglioso che a sostenere la mia candidatura vi sia tutta questa varietà di storie. Per questo sono orgoglioso che il Coordinatore della mia mozione congressuale sia Piero Fassino. Per questo mi si è aperto il cuore quando alla fine di agosto un vecchio signore ha attraversato la folla che riempiva la piazza, mi ha abbracciato e mi ha detto: ”Sono l’ultimo segretario del Partito Comunista di Gallipoli ma voterò per te, perché non mi interessa da dove vieni ma dove vuoi andare”. Questo è il Pd che abbiamo sognato e che ora dobbiamo costruire: un luogo in cui ognuno ha portato l’orgoglio della propria storia precedente ma in cui si sta insieme per il futuro che si vuole costruire, per l’idea di Italia che abbiamo. Come sapete, quando 6 mesi fa tutti mi hanno chiesto di fare il Segretario del Pd, in un momento molto difficile, avevo detto che il mio lavoro sarebbe finito in ottobre. Poi ho riflettuto molto su quelle parole di Berlusconi appena sono stato eletto: “Ecco l’ottavo leader del centrosinistra. Tra un po’ ci sarà il nono”. Ho masticato amaro quel giorno perché ho pensato che purtroppo non aveva torto: in quindici anni di là c’è stato sempre lui, di qua tutti i leader che si sono susseguiti sono stati più ostacolati dal fuoco amico che da quello avversario. Allora mi sono detto: questa volta a decidere se devo smettere o se dopo sei mesi devo continuare a fare il Segretario del Pd, non saranno quattro o cinque capi chiusi in una stanza ma saranno gli iscritti e gli elettori del Pd. Ecco, solo questo vi chiedo: quando voterete nei Circoli e poi alle Primarie del 25 ottobre, tra noi candidati scegliete chi vi convince di più, chi immaginate potrà fare meglio l’opposizione e preparare le future vittorie, ma scegliete liberi. E’ troppo importante la scelta per seguire l’indicazione di qualcuno che conta o per restare legati alle antiche appartenenze. Seguite solo la vostra coscienza, fate come quel vecchio segretario del Pci: scegliete uno di noi, ma non per la storia da cui proviene ma per quella futura che propone al partito e al Paese. Se farete così, chiunque vinca avrà vinto tutto il Pd.

Dario Franceschini

Segretario Nazionale del Partito Democratico

martedì 4 agosto 2009

Congresso PD: MOZIONE FRANCESCHINI – DOCUMENTO SU LAVORO E STATO SOCIALE


Questo Documento, a sostegno della Mozione Franceschini, è la base per una discussione sui temi del lavoro e dello stato sociale. E’ un contributo di idee per un Congresso che privilegi un confronto sui contenuti.Nel mese di settembre intendiamo promuovere un’iniziativa nazionale su questi temi, alla presenza di Dario Franceschini e Piero Fassino, che sarà anche l’occasione per ulteriori suggerimenti e integrazioni tematiche.Il documento vuole essere anche uno stimolo per promuovere iniziative di dibattito in ogni territorio, a partire da quello regionale, per collegare il confronto congressuale al tema della crisi economica e sociale che avrà un momento di acutizzazione nel prossimo autunno.Invitiamo tutti coloro che condividono i contenuti a sottoscrivere il Documento su lavoro e stato sociale. scarica qui il documento a cura di Cesare Damiano e Tiziano Treu.
Se vuoi puoi inviare all'Associazione Lavoro & Welfare o all'email pietrocolonnella@gmail.com eventuali contributi al dibattito e commenti e/o suggerimenti al documento su lavoro e stato sociale qui pubblicato.

Intervento Assemblea Provinciale PD su analisi voto

E’ abbastanza diffusa la sensazione che i cittadini, in queste elezioni amministrative, abbiano probabilmente votato per bocciare scelte, contraddizioni ed incertezze di una parte, più che per dare fiducia all’altra che, aldilà di coreografie, di vecchie ed abusate pratiche, non brillava certo per unità di intenti, serietà delle proposte e manifesta capacità di concretizzarle.
L’elezione di Celani in provincia è emblematica: assolutamente inconcludente per i 10 anni trascorsi alla guida della città di Ascoli, sfiduciato dalla sua stessa maggioranza, eppure eletto presidente. Un esito, questo, che molti di noi avevano temuto e previsto. A volte accusati di essere eccessivamente pessimisti ma in realtà come i fatti hanno dimostrato, sin troppo realisti.
Vince il centrodestra alla Provincia, vince il centrodestra nel comune di Ascoli, cambiano le maggioranze in tutti gli Enti di 2° grado che vedranno a breve l’azzeramento degli organismi di governo e la loro sostituzione con maggioranze diverse da quelle attuali; è oggi, dopo il voto amministrativo, estremamente più difficile tentare di confermare il centrosinistra alla guida della Regione.
Partiamo dalla Provincia il cui risultato è quello che probabilmente più di ogni altro ha condizionato il resto: il PD ha tentato una prova di forza; ha, forte del suo 40%, ritenuto opportuno e logico rivendicare, anche in seguito ad evidenti differenze nell’individuazione di priorità programmatiche, il ruolo di presidente della provincia e provato a dimostrare la sua autosufficienza e capacità di vincere al di fuori della tradizionale alleanza di centrosinistra.
Una scelta possibile, approvata dall'assemblea provinciale, non all'unanimità ma certo con larghissima maggioranza dei presenti, ogni volta che si è votato, e, di certo, anche per questo, legittima.
Tanti però in questi mesi avevano, in diversi modi e forme, avvertito che per la via della delegittimazione di Rossi e del lavoro della sua giunta, della quale eravamo stati componente essenziale e determinante, non si sarebbe giunti a nessun risultato utile; che era, quella della divisione da Rossi, una politica sorda ai richiami dell’elettorato del centrosinistra; si è più volte letta ed udita la metafora dell’auto lanciata a piena velocità contro il muro senza che nessuno di quanti erano a bordo avesse il coraggio di dire ciò che realmente stava accadendo o di tirare il freno.
Giravano, ed erano anche conosciuti, dati di sondaggi che mostravano quanta parte dei tradizionali elettori del PD avrebbero comunque rinnovato la loro fiducia a Rossi; tanti erano gli appelli, gli articoli, i commenti sui quotidiani on-line che ci avvertivano del fatto che avremmo perso scegliendo di abbandonare la maggioranza provinciale a pochi mesi dalle elezioni ed esprimendo, non un candidato qualsiasi, ma colui che nella giunta Rossi aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente e che, come giusto e naturale, di quella giunta, e non poteva essere altrimenti, aveva condiviso ogni scelta e strategia.
Il nostro gruppo dirigente è rimasto, nonostante tutto, legittimamente, sulle sue posizioni. D’'altronde, fare scelte è principalmente responsabilità della maggioranza, ma, una volta che queste si dimostrano errate, non è giusto, ne utile ne dignitoso non trarre le dovute conseguenze. Non sarebbe giusto per i cittadini, per i nostri elettori, per quanti ci hanno sostenuto, per quanti, magari pur non condividendo la scelta della divisione, hanno comunque visto in noi una forza seria e responsabile e della quale fidarsi e ci hanno seguito.
L’essere, ed essere individuati quale forza seria e responsabile, impone anche delle responsabilità: è nel ruolo di un gruppo dirigente assumere delle decisioni e fare delle scelte, ma quando alla luce dei fatti queste si appalesano come errate, le conseguenze vanno tratte, se non si vuol dare l’impressione di far parte di una casta comunque intoccabile ed insensibile a qualsiasi cataclisma.
E, paradossalmente, tanto più diffusa e condivisa è stata la scelta, tanto più le responsabilità vanno individuate e, di conseguenza, più forte deve essere il segnale. Più di ogni altra cosa credo però pesi ed abbia pesato il clima creato in questa Assemblea. In diversi, in diverse circostanze, queste perplessità le avevamo manifestate. Io sono però convinto che non solo quei pochi ma tantissimi dei membri dell’assemblea erano consapevoli del fatto che persistendo sulla strada della divisione e dello scontro con Rossi si sarebbe perso. Se così non fosse questa situazione denoterebbe un’incredibile distacco dal senso comune dei cittadini, dal loro modo di pensare.
La cosa grave, allora, è nel fatto che nessuno (o quasi) ha ritenuto di esprimere queste perplessità che erano, lo ribadisco, patrimonio comune. Questo comportamento credo sia pericoloso indice di un clima non accettabile in un partito. Un partito è (dovrebbe essere), per definizione, luogo di confronto, di discussione, luogo nel quale lungi dal criminalizzarla, si fa della differenza di posizione ricchezza.
In questa capacità di confrontare le idee e di costruire insieme una proposta credibile e convincente è la forza di un partito e questo, francamente, tra noi non è avvenuto.
A questo punto il problema non è ovviamente dimissioni o meno del segretario. Non è, è stato detto , di un capro espiatorio che abbiamo bisogno. E’ il gruppo dirigente nel suo insieme che deve mettersi in discussione e quanti, in particolare, nessuno sa in quale sede ed in quale circostanza (certo non in questa assemblea), all’indomani del primo turno, una volta accertato che i consensi ricevuti dal nostro candidato non erano quelli sperati, hanno tentato, pur di non dover scendere a patti con Rossi, di vincere senza apparentamento, regalando così definitivamente la Provincia a Celani. Questo è probabilmente l’aspetto più grave della vicenda perché sino a quel momento ogni errore di valutazione poteva ancora essere recuperato.
Responsabilità in merito a questo non sono ancora emerse.
Resta agli atti il fatto che siamo riusciti a fare appelli per l’unità della sinistra agli elettori quando era, allo stesso tempo, evidente il fatto che non c’era nessuna volontà di confrontarsi seriamente con chi, pur con tutti i suoi limiti, di quel popolo della sinistra, aveva raccolto, non il 5 o 10 ma il 20 % dei consensi e che, in virtù di questo, non poteva che essere interlocutore necessario.
Si è scommesso sul non accordo con Rossi facendo un preciso calcolo e mettendo in conto la possibilità di una sconfitta. La sconfitta c’è stata, pesante, e non può essere ignorata.

Il nostro partito si appresta ad affrontare un difficile percorso congressuale. Io credo che sarebbe serio ed onesto affrontare questo percorso ponendo da subito, le condizioni per una discussione franca e aperta.
Chiunque tra noi abbia un mandato in seno all’assemblea lo rimetta ad essa, costruiamo insieme un organismo di garanzia, plurale, che ci conduca, appena possibile, e cmq non oltre novembre, al congresso di federazione.
Solo così forse riusciremo a riprendere quel dialogo con i cittadini e con tanti nostri elettori in questo periodo interrotto. Così forse riusciremo ad evitare che, quel 10% del nostro elettorato che in queste elezioni ha seguito Rossi, decida stabilmente di approdare ad altri lidi, relegandoci inevitabilmente ad una posizione marginale in questo territorio.

mercoledì 8 luglio 2009

Il 14 luglio alziamo la voce


Memoria insufficiente


Da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.
Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".Non ci andava meglio in Svizzera, negli anni ’70 con i leader che scrivevano: “Le mogli e i bambini degli immigrati? Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l’ex guitto italiano».In quegli anni – ieri rispetto alla Storia - in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani clandestini, portati di nascosto dai genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini che raccomandavano perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere.Prima degli anni ’50 gli italiani andavano a Bucarest per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere e alla scadenza del permesso di soggiorno restavano in Romania, clandestini. Nel 1942 il Ministro dell’Interno fu costretto ad inviare a tutti i Questori una circolare con la quale li si invitava a non far espatriare gli italiani in Romania.In India, nel 1893, il console italiano scriveva a Roma per dire che in quella città tutti quelli che sfruttavano la prostituzione venivano chiamati “italiani”.Tra la prima e la seconda guerra mondiale molti italiani andavano in America con passaporti falsi o biglietti inviati da pseudo parenti italo americani. In realtà una volta sbarcati li attendevano turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza.Non sono aneddoti. E’ storia, tratta dalla Mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo” (Parma, 15 aprile 2009).Gian Antonio Stella, nel suo bellissimo libro “Quando gli albanesi eravamo noi”, ci ricorda che “….Quando si parla d’immigrazione italiana si pensa solo agli ’zii d’America’, arricchiti e vincenti, ma nessuno vuole sapere che la percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del 71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per omicidio” o ancora che il primo attentato nella storia con un’auto imbottita di esplosivo è stato fatto a New York, non da terroristi ma da criminali italiani contro una banda avversaria.Forse ci ricordano che la nostra Terra gira, gira velocemente nello spazio e nel tempo creando nuovi ricchi ed ammassando nuovi poveri. I ruoli si invertono ma i clandestini restano anche se hanno un colore diverso. Fuggono da Paesi in cui l’unica prospettiva è morire per fame o morire per guerre volute da altri. Ed allora questa gente può solo correre, correre, correre impazzita verso il nord, verso il mediterraneo, verso quelli che credono essere orizzonti migliori.http://www.agoravox.it/QUANDO-I-CLANDESTINI-ERAVAMO-NOI,6706.html

Alla cultura democratica europea e ai giornali che la esprimono


Le cose accadute in Italia hanno sempre avuto, nel bene e nel male, una straordinaria influenza sulla intera società europea, dal Rinascimento italiano al fascismo.

Non sempre sono state però conosciute in tempo.

In questo momento c’è una grande attenzione sui giornali europei per alcuni aspetti della crisi che sta investendo il nostro paese, riteniamo, però, un dovere di quanti viviamo in Italia richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica europea su altri aspetti rimasti oscuri. Si tratta di alcuni passaggi della politica e della legislazione italiana che, se non si riuscirà ad impedire, rischiano di sfigurare il volto dell’Europa e di far arretrare la causa dei diritti umani nel mondo intero.

Il governo Berlusconi, agitando il pretesto della sicurezza, ha imposto al Parlamento, di cui ha il pieno controllo, l’adozione di norme discriminatorie nei confronti degli immigrati, quali in Europa non si vedevano dai tempi delle leggi razziali.È stato sostituito il soggetto passivo della discriminazione, non più gli ebrei bensì la popolazione degli immigrati irregolari, che conta centinaia di migliaia di persone; ma non sono stati cambiati gli istituti previsti dalle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti.

Con tale divieto si impedisce, in ragione della nazionalità, l’esercizio di un diritto fondamentale quale è quello di contrarre matrimonio senza vincoli di etnia o di religione; diritto fondamentale che in tal modo viene sottratto non solo agli stranieri ma agli stessi italiani.Con una norma ancora più lesiva della dignità e della stessa qualità umana, è stato inoltre introdotto il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarità amministrativa, di riconoscere i figli da loro stesse generati. Pertanto in forza di una tale decisione politica di una maggioranza transeunte, i figli generati dalle madri straniere irregolari diverranno per tutta la vita figli di nessuno, saranno sottratti alle madri e messi nelle mani dello Stato. Neanche il fascismo si era spinto fino a questo punto. Infatti le leggi razziali introdotte da quel regime nel 1938 non privavano le madri ebree dei loro figli, né le costringevano all’aborto per evitare la confisca dei loro bambini da parte dello Stato.

Non ci rivolgeremmo all’opinione pubblica europea se la gravità di queste misure non fosse tale da superare ogni confine nazionale e non richiedesse una reazione responsabile di tutte le persone che credono a una comune umanità. L’Europa non può ammettere che uno dei suoi Paesi fondatori regredisca a livelli primitivi di convivenza, contraddicendo le leggi internazionali e i principi garantisti e di civiltà giuridica su cui si basa la stessa costruzione politica europea.È interesse e onore di tutti noi europei che ciò non accada.

La cultura democratica europea deve prendere coscienza della patologia che viene dall’Italia e mobilitarsi per impedire che possa dilagare in Europa.

A ciascuno la scelta delle forme opportune per manifestare e far valere la propria opposizione.

Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Dacia Maraini, Dario Fo, Franca Rame, Moni Ovadia, Maurizio Scaparro, Gianni Amelio, Wu MingAderisci anche tu all'appello pubblicato da MicroMega http://www.micromega.net/

Il 14 Luglio non si parla.


L'APPELLO

Aderisci alla giornata di silenzio per la libertà d'informazione on line.
Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da un susseguirsi di iniziative legislative apparentemente estemporanee e dettate dalla fantasia dei singoli parlamentari ma collegate tra loro da una linea di continuità: la volontà della politica di soffocare ogni giorno di più la Rete come strumento di diffusione e di condivisione libera dell’informazione e del sapere. Le disposizioni contenute nel "Decreto Alfano" sulle intercettazioni rientrano all'interno di questa offensiva.
Il cosiddetto "obbligo di rettifica" imposto al gestore di qualsiasi sito informatico (dai blog ai social network come Facebook e Twitter fino a .... ) appare chiaramente come un pretesto, un alibi. I suoi effetti infatti - in termini di burocratizzazione della Rete, di complessità di gestione dell'obbligo in questione, di sanzioni pesantissime per gli utenti - rendono il decreto una nuova legge ammazza-internet.
Rispetto ai tentativi precedenti questo è perfino più insidioso e furbesco, perché anziché censurare direttamente i siti e i blog li mette in condizione di non pubblicare più o di pubblicare molto meno, con una norma che si nasconde dietro una falsa apparenza di responsabilizzazione ma che in realtà ha lo scopo di rendere la vita impossibile a blogger e utenti di siti di condivisione.
I blogger sono già oggi del tutto responsabili, in termini penali, di eventuali reati di ingiuria, diffamazione o altro: non c'è alcun bisogno di introdurre sanzioni insostenibili per i "citizen journalist" se questi non aderiscono alla tortuosa e burocratica imposizione prevista nel Decreto Alfano.
La pluralità dell'informazione, non importa se via internet, sui giornali, attraverso le radio o le tv o qualsiasi altro mezzo, costituisce uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino e, probabilmente, quello al quale sono più direttamente connesse la libertà e la democrazia.Con il Decreto Alfano siamo di fronte a un attacco alla libertà di di tutti i media, dal grande giornale al più piccolo blog.
Per questo chiediamo ai blog e ai siti italiani di fare una giornata di silenzio, con un logo che ne spiega le ragioni, nel giorno in cui anche i giornali e le tv tacciono. E' un segnale di tutti quelli che fanno comunicazione che, insieme, dicono al potere: "Non vogliamo farci imbavagliare".Invitiamo quindi tutti i cittadini che hanno un blog o un sito a pubblicare il 14 luglio prossimo questo logo e a tenerlo esposto per l’intera giornata, con un link a questo manifesto. - scarica il logo banner.jpg
Non si tratta di difendere la stampa, la tv, la radio, i giornalisti o la Rete ma di difendere con fermezza la libertà di informazione e con questa il futuro della nostra democrazia.Come è nata l'idea
Blogger e giornalisti-blogger, attraverso uno scambio di telefonate ed e mail, hanno deciso di agire. Per dare un segnale forte attraverso la Rete. Gli Usa hanno eletto la prima volta un presidente di colore grazie alla libera condivisione delle informazioni in Internet. Barack Obama ha creduto nella Rete e sta facendo la differenza con un messaggio forte di cambiamento. In Italia, al contrario, una politica "vecchia" vuole impedire la libertà d'informazione attraverso giornali, siti internet e blog. Con leggi ad personam che sono un attacco alla democrazia.
http://dirittoallarete.ning.com/Come ben sapete stanno cercando di limitare la rete in quanto e' rimasto solo questo mezzo di comunicazione 'libero', e quindi scomodo.
Saremmo gli unici insieme alla Cina e ad alcuni paesi del Sud America ad avere limitazioni nell’uso della rete.
Il 14 Luglio NON SI PARLA per far capire alla gente cosa vuol dire.Chi vuole partecipare non comunichi nemmeno su msn e facebook e lasci come immagine nel profilo il logo che si puo' scaricare dal sito.

lunedì 6 luglio 2009

Il PD esule in casa di Ilvio Diamanti


dA LA REPUBBLICA DEL 10 GIUGNO 2009 PAG. 13
Partito Democratico: dove si perde di più.
Le 15 province con il maggior calo percentuale rispetto al 2008

Crotone -16 %
Ascoli P. -12,6 %
Ancona -12,4 %
Macerata -12,3 %
Fermo -12 %
Chieti -11,7 %
Terni -11,3 %
Teramo -11,3 %
Pescara -11,3 %
Rieti -11,2 %
Taranto -11,1 %
Brindisi -10,6 %
L'Aquila -10,6 %
Lecce -10,4 %
Perugia -10,2 %


Se si esclude la provincia di Crotone commissariata nel dicembre 2008 dal Segretario Regionale per precedenti rilevanti problemi di carattere giudiziario e rilevantissimi problemi organizzativi (il Commissario è Nico Stumpo della Direzione Nazionale) in assoluto le quattro province italiane con la peggiore performance sono marchigiane.


ALTRI INTERESSANTI DATI DISPONIBILI SU (http://www.demos.it/) http://www.demos.it/a00301.php

Questo l’articolo:

MAPPE
Il Pd esule in casa
di ILVO DIAMANTI

· LE TABELLE
Come avviene puntualmente da 15 anni, anche queste elezioni sono state affrontate come un referendum. L'unico ammissibile, in Italia, oggi. Pro o contro Berlusconi. Il quale, a differenza delle ultime occasioni, questa volta ha perduto. E ha condizionato, in questo modo, la lettura del voto. Tuttavia, dalla consultazione esce sconfitto lui, ma non il centrodestra. Non certo la Lega. Ma lo stesso Pdl, per una volta, se l'è cavata meglio del suo leader. Come hanno confermato le elezioni amministrative. Nell'insieme, questa consultazione conferma un profondo mutamento dei rapporti fra politica, società e territorio, che investe entrambi gli schieramenti. Ne forniscono una raffigurazione plastica ed esemplare la Lega e l'Idv. I vincitori di queste elezioni. Non solo perché hanno guadagnato peso elettorale, in valori assoluti e percentuali, rispetto alle precedenti elezioni politiche ed europee. Ma perché, inoltre, si sono rafforzati rispetto agli alleati. Si tratta di partiti molto diversi, ma con alcuni tratti comuni. Anzitutto, i temi che hanno imposto all'agenda politica, in campagna elettorale.
In primo luogo: la sicurezza. Anche se la interpretano in modo alternativo. La Lega: come reazione alla "paura degli altri e del mondo", all'inquietudine prodotta dal cambiamento. È la "Lega degli uomini spaventati", che organizza le ronde: la comunità locale in divisa per difendersi dagli immigrati e dalla criminalità comune. L'Idv, invece, punta sulla domanda di legalità. Rivendica l'eredità della stagione di Tangentopoli, impersonata da Antonio Di Pietro. Sostiene i magistrati. Esercita un'opposizione intransigente. A Berlusconi. A ogni mediazione sui temi della giustizia. Per questo motivo nel 2006 si oppose - unica, non a caso, con la Lega - all'indulto.
Entrambi i partiti usano, in diverso modo e in diverso grado, uno stile populista: per linguaggio e comunicazione. Esprimono, tuttavia, valori molto diversi. E seguono modelli opposti: dal punto di vista organizzativo e nel rapporto con la società e il territorio. La Lega è un partito "territoriale". Nordista per geografia e identità. Impiantato su una base di volontari e militanti diffusa e persistente. L'Idv è, invece, un "partito senza territorio", orientato su questioni "nazionali". Con un elettorato proiettato, semmai, nel Centro-Sud. Dal punto di vista organizzativo, è ancora largamente fluido e sradicato. D'altronde, ha conosciuto un successo rapido e recente. Fino a oggi, la sua identità si è confusa con quella del leader. I diversi modelli espressi dai due partiti riflettono uno slittamento del rapporto fra politica e territorio, già segnalato. La sinistra utopica sta diventando atopica. Non solo l'Idv. Anche il Pd vede il proprio terreno sfaldarsi. Erede dei partiti di massa, il Pci e le correnti democristiane di sinistra, fino a ieri non era riuscito a scavalcare i confini delle zone rosse, dove però era saldamente insediato. Oggi, non più. Anche le zone rosse stanno diventando rosa. Segnate, qui e là, da alcune macchie di verde. Il Pd è il partito più forte solo in Emilia Romagna e in Toscana. Nelle Marche e perfino in Umbria è superato dal Pdl. Città e province tradizionalmente di sinistra scricchiolano. A Firenze e Bologna il Pd non è riuscito a imporre il suo candidato al primo turno. Delle 50 province dove governava, fino a pochi giorni fa, fin qui ne ha riconquistate solo 14 e 15 le ha già perdute. Delle 27 città capoluogo che amministrava fino a pochi giorni, il centrosinistra, al primo turno, ne ha mantenute sette mentre sei le ha cedute al centrodestra. Il quale sta piantando radici diffuse e profonde. Non solo la Lega. Nonostante l'insuccesso personale di Berlusconi, anche il Pdl ha dimostrato un buon grado di resistenza elettorale. Soprattutto nel Nord, dove ha sopportato lo scontro con la Lega. Per la prima volta, infatti, i due alleati non si sono cannibalizzati reciprocamente. Ha, inoltre, tenuto anche nelle regioni del Centro mentre ha perduto largamente nel Sud. Soprattutto in Sicilia, sua roccaforte. Dove ha pagato lo scontro con la Lega Sud di Lombardo. Suo alleato, fino a ieri. E forse di nuovo domani. Perché il Pdl, come prima Forza Italia, è un partito network. Aggrega soggetti politici e gruppi di potere radicati. Ciò lo rende forte e al tempo stesso vulnerabile. Esposto alle tensioni tra gli alleati, ai conflitti tra le diverse componenti locali. Il problema vero del centrodestra è che questa molteplicità di radici ha un solo, unico ceppo a cui attaccarsi. Una sola antenna, un solo volto attraverso cui comunicare insieme. Berlusconi. Risorsa. Ma anche limite. Come in questa occasione. Il centrosinistra però, asserragliato nei suoi confini, oggi deve affrontare la minaccia che viene da Nord. La Lega (centro) Nord in questa elezione si è sviluppata soprattutto nelle regioni rosse. In Emilia Romagna e nelle Marche. Che hanno una struttura sociale ed economica molto simile a quella del Nordest e della provincia del Nord. Territorio di piccole imprese globalizzate, investito da flussi migratori estesi. La Lega Nord è riuscita a entrare nel territorio della sinistra usando il linguaggio della paura e del localismo. Un linguaggio che non ha confini, ma serve a crearli. Fra le province dove è cresciuta maggiormente, rispetto alle politiche, ci sono Reggio Emilia, Modena, Forlì, Prato, Parma, Pesaro-Urbino. Ciò solleva una questione che va oltre il voto europeo e amministrativo. Riguarda il Pd. Angosciato da una sorta di "sindrome della scomparsa", ha accolto il risultato delle europee con sollievo. Quasi come un successo. L'esito del primo turno delle amministrative, tuttavia, ne ha ribadito il disagio. Perché il Pd fatica a riconoscersi nella terra dei suoi padri. D'altra parte, per questo è sorto: per superare i confini della propria identità. Al di là delle regioni di cui si sente prigioniero. Ma ora è disorientato. Insidiato dall'Idv, in ambito nazionale, fra gli elettori di opinione che chiedono "opposizione" e parole chiare. Minacciato nelle proprie roccaforti dalla Lega. Che usa il territorio come arma e come bandiera. Anche il Pd, come molti dei suoi elettori, si sente un po' esule a casa

venerdì 3 luglio 2009

mercoledì 1 luglio 2009

Contributo all’assemblea dei candidati e sostenitori della lista Canzian del 1 luglio 2009. Sala dei savi


(bozza non corretta)

Dieci giorni sono passati dal turno di ballottaggio delle elezioni amministrative. Turno di ballottaggio che ha visto comune e provincia di Ascoli consegnati entrambi al centrodestra dagli elettori del nostro territorio che, probabilmente, sono in molti a dirlo, hanno votato più per bocciare scelte, contraddizioni ed incertezze di una parte, che per dare fiducia all’altra che, aldilà di coreografie, di vecchie ed abusate pratiche e suggestive immagini, non brillava certo per unità di intenti, proposte e manifesta capacità di concretizzarle.
Un esito che molti di noi avevano temuto e tentato di scongiurare con un serrato lavoro quotidiano a contatto con gli elettori.
Centinaia di incontri, di occasioni di confronto e discussione, creati nel breve periodo della campagna elettorale che purtroppo però non sono bastati a far passare, sino in fondo, il nostro messaggio, a farlo divenire maggioritario.
C’è davvero mancato poco se, sui quasi trentamila voti espressi dai cittadini della nostra città, alla fine, solo 427 voti hanno separato Canzian da Castelli.
Ci siamo fermati a 14.273 e, da questo dato, purtroppo insufficiente a consegnarci la guida della città, ma certo di buon auspicio per il futuro, vogliamo e dobbiamo ripartire.
L’esiguità di questa differenza ci mostra come l’indicazione dataci dagli elettori delle primarie di novembre fosse quella giusta.
Non di una candidatura interna ed incapace di parlare alla città si trattava come da molti, anche nel centrosinistra, indicato ma della candidatura giusta, capace di rompere gli schemi consueti del confronto destra-sinistra e di aprire una breccia consistente nel centrodestra cittadino. (Chiunque sia stato presente in uno qualsiasi dei seggi cittadini non può non aver notato quante schede recanti l’indicazione per partiti del centrodestra individuavano comunque Canzian quale candidato sindaco prescelto).
Molte cose sono successe dalla data delle primarie (ricordate: eravamo a fine novembre): l’uscita dalla maggioranza in comune di un consistente numero di consiglieri, l’approvazione della mozione di sfiducia al sindaco Celani, la scelta dell’udc di correre da sola, l’imprevista candidatura a sindaco di Gibellieri, che hanno, tutte insieme, alcune volontariamente altre incidentalmente, contribuito, non poco, a rendere più agevole la nostra corsa.
Il nostro partito (e il centrosinistra in generale) non è però riuscito, nel suo insieme, sino in fondo, a cogliere tutti gli aspetti e le potenzialità di questa favorevole situazione (o, in un’ipotesi più triste e “tafazziana” li ha percepiti tutti ed ha, di conseguenza, agito).
Dopo le primarie infatti, sin da dicembre, c’era la possibilità di tuffarci, tutti insieme, con largo anticipo, nella campagna elettorale per tentare di far conoscere, a quanti ancora non avevano avuto occasione di farlo, il nostro candidato, la nostra proposta per la città e per i cittadini.
Ci siamo chiusi in un serrato confronto volto a mettere in discussione il risultato delle primarie indicando addirittura quale determinante, ai fini dell’esito finale delle stesse, il presunto voto di cittadini di centrodestra che avrebbero in tal modo inteso favorire la scelta del candidato della sinistra più debole per avere la strada in discesa verso l’Arengo. Gli elenchi degli elettori delle primarie sono pubblici e chiunque poteva e può verificare quanto di vero ci sia in tale ipotesi: nulla.
Decine e decine gli episodi e i tentativi di delegittimazione, le prove richieste, le istanze pretestuosamente avanzate (o fatte avanzare da altre forze della coalizione) al solo scopo di rimettere in discussione, sino all’ultimo, il risultato emerso dalle urne delle primarie.
Ora è probabilmente inutile elencarli tutti: ciascuno di noi ricorda ogni passaggio. Il risultato finale è comunque stato quello di un centrosinistra giunto alle elezioni della città di Ascoli con tre persone candidate alla carica di sindaco offuscando, in tal modo, non poco, la prospettiva di un governo caratterizzato da segni diversi della città.
Discorso a parte va fatto per le scelte operate per la Provincia anche se, anche queste, alla fine, si riveleranno determinanti per le stesse sorti della città di Ascoli.

Il PD, in questo caso, ha tentato una prova di forza; ha, forte del suo 40% riportato alle ultime elezioni politiche, ritenuto opportuno e logico rivendicare il ruolo di presidente della provincia e provato a dimostrare la sua autosufficienza; la sua capacità di vincere anche al di fuori della tradizionale alleanza di centrosinistra.
Una scelta politica possibile, approvata dall'assemblea provinciale, non all'unanimità ma certo con larghissima maggioranza dei presenti, quando si è votato, e, di certo, legittima.
Una scelta politica che, come ha scritto qualcuno, ha sotto nomi e cognomi di chi l'ha proposta, portata avanti e fatta approvare dall’assemblea del partito.
Tanti in questi mesi avevano, in diversi modi e forme, avvertito che per la via della delegittimazione di Rossi e del lavoro della sua giunta, della quale eravamo stati componente essenziale e determinante, non si sarebbe giunti a nessun risultato utile; che era, quella della divisione da Rossi, una politica cieca e sorda ai richiami dell’elettorato del centrosinistra; si è più volte letta ed udita la metafora dell’auto lanciata a piena velocità contro il muro senza che nessuno di quanti erano a bordo avesse il coraggio di dire ciò che realmente stava accadendo o di tirare il freno.
Giravano, ed erano anche largamente conosciuti, dati di sondaggi che mostravano quanta parte dei tradizionali elettori del PD avrebbero comunque rinnovato la loro fiducia a Massimo Rossi, indipendentemente dal candidato scelto dal loro partito di riferimento; tanti erano gli appelli, gli articoli, i commenti sui quotidiani on-line che avvertivano i vertici del partito che avremmo perso provincia e comune continuando per quella via e, sopratutto, scegliendo di abbandonare la maggioranza provinciale a due mesi dalle elezioni esprimendo non un candidato qualsiasi ma colui che nella giunta Rossi aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente e, come giusto e naturale, di quella giunta aveva condiviso ogni scelta e strategia.

Il nostro gruppo dirigente è rimasto, nonostante tutto, legittimamente, sulle sue posizioni, portando il Pd ed il centrosinistra ad una sconfitta talmente evidente e di tale portata che, certo, non potrà essere priva di conseguenze. Non sarebbe giusto, se ne fosse priva, per i cittadini, per i nostri elettori; per quanti ci hanno sostenuto; per quanti, magari pur non condividendo la scelta della divisione, hanno comunque visto in noi una forza seria e responsabile e della quale fidarsi.
L’essere, ed essere individuati quale forza seria e responsabile, impone anche delle responsabilità: è nel ruolo di un gruppo dirigente assumere delle decisioni e fare delle scelte, ma quando queste si appalesano come errate, le conseguenze vanno tratte, se non si vuol dare l’impressione di far parte di una casta comunque intoccabile ed insensibile a qualsiasi cataclisma.
E, paradossalmente, tanto più diffusa e condivisa è stata la scelta, tanto più le responsabilità vanno individuate e, di conseguenza, più ampio deve essere il rinnovamento del gruppo dirigente, arrivando a coinvolgere, a mio avviso, ed è un mio pensiero, anche se in misura minore, anche chi pur non condividendo talune scelte, non ha avuto sufficiente determinazione da far prevalere quelle ritenute giuste.

Il problema non è ovviamente dimissioni o meno del segretario provinciale. Certo anche lui ha le sue responsabilità, se non altro, per lo “zelo” che ha messo nell’eseguire le decisioni assunte dell’assemblea ma è tutto il gruppo dirigente che deve mettersi in discussione e quanti, in particolare, nessuno sa in quale sede ed in quale circostanza, all’indomani del primo turno, una volta accertato che i consensi ricevuti dal nostro candidato non erano quelli sperati, ha tentato, pur di non dover governare col condizionamento derivante da altre forze della sinistra, di vincere senza apparentamento regalando così definitivamente la Provincia a Celani.
Questo è probabilmente l’aspetto più grave della vicenda.
Responsabilità in merito a questo non sono ancora emerse. Resta agli atti il fatto che siamo riusciti nello stesso tempo a fare appelli per l’unità della sinistra agli elettori quando era allo stesso tempo evidente il fatto che, probabilmente per risentimenti personali (cosa che non si vede cosa abbia a che fare con le scelte di un partito) non c’era nessuna volontà di confrontarsi seriamente con chi, della sinistra, aveva raccolto, non il 5 o 10 ma il 20 % dei consensi e che, in virtù di questo, non poteva che essere interlocutore necessario.

Tornando ai dati emersi dalle urne, questi non sono, in questa occasione, di difficile interpretazione e il giudizio che se ne ricava è purtroppo di quelli inappellabili. Vediamone alcuni, pochi, giusto quelli necessari a rendere un po’ più comprensibile, se fosse necessario, quanto accaduto:

- nella città di Ascoli la candidatura di Canzian trascina con se la candidatura di Mandozzi in tutti i seggi, nessuno escluso. Quindi assolutamente nessun boicottaggio nei confronti del candidato provinciale da parte di nessuno. La differenza nei voti tra i due candidati deriva dalla diversa coalizione di sostegno e dal voto personale del candidato sindaco;
- la candidatura di Mandozzi, nonostante il risultato alla fine per certi versi accettabile, si è rivelata una candidatura comunque troppo “compromessa” con l’amministrazione Rossi per essere credibile tanto che neppure in roccaforti tradizionali del PD riesce a sfondare;
- il risultato del centrosinistra di Ascoli dipende in larga parte dal voto delle frazioni: Mozzano, Marino e Venagrande in particolare.
Nella città di Ascoli la prevalenza di Canzian è evidente, segno che la candidatura era quella giusta e che se lo stesso (e buona parte di noi) si fosse potuto dedicare un po’ meno a difendersi dalle controversie interne e un po’ di più alla campagna elettorale sarebbe probabilmente andata diversamente;
- guardando i dati delle sezioni di Ascoli risulta infine evidente come il candidato sindaco eletto debba questa affermazione alla copresenza in campagna elettorale del candidato presidente Celani. Una eventuale vittoria del centrosinistra in provincia avrebbe determinato una vittoria di Canzian nella città di Ascoli, non di misura ma ampia. La scelta di non ricandidare Rossi (che avrebbe con ogni probabilità vinto al primo turno togliendo di mezzo Celani dalla campagna elettorale) oltre ad aver avuto l’esito di consegnare la Provincia alla destra ha quindi, anche se involontariamente, direttamente determinato la sconfitta di Canzian in Comune.
Siamo qui, comunque. Come dicevo ripartiamo da un patrimonio ampio di consensi. Oltre 14.000 elettori che hanno dato credito ad una proposta diversa di guida della città.
Si dice spesso di quanto Ascoli sia una città moderata e chiusa a prospettive di rinnovamento. In questa circostanza, la metà dei cittadini che hanno espresso il proprio voto, l’ha espresso a favore di un’idea avanzata di governo della città: si è parlato di rinuncia a governare col sostegno e condizionamento delle lobbies; era del tutto evidente la volontà di governare con tutte le forze del centrosinistra, fino a rifondazione comunista, nessuna esclusa; con un programma, ad esempio, molto avanzato sul terreno del sociale e della difesa delle fasce più deboli di cittadini.
A questa prospettiva quasi la metà dei cittadini ascolani ha guardato con favore smentendo apertamente opinioni largamente diffuse e”storicamente” provate. Questo ci pone di fronte alla necessità di avviare oggi un ragionamento su quanto dovremo e potremo fare, nelle istituzioni e al di fuori di esse, per far si che tutti questi cittadini abbiano comunque voce, che i loro diritti siano comunque tutelati, che le loro legittime aspirazioni possano comunque conseguire risposte.
C’è tanta amarezza e tanta inquietudine in ciascuno di noi. Questo può, da un lato, se le istanze ed aspirazioni di cui dicevo risultassero frustrate, portare ad un ripiegamento su posizioni qualunquiste e nel disimpegno o condurci, e questo credo sia l’obiettivo da perseguire, alla possibilità di mettere in campo, da subito, una aggregazione di forze capace di iniziare a costruire quella città diversa che per qualche mese tutti noi abbiamo avuto la forza ed il coraggio di sognare.

domenica 28 giugno 2009

Assemblea pubblica

Mercoledì 1 luglio
Ore 17,30
Sala dei Savi Piazza del popolo

RICOMINCIAMO DA 14.273
Il centrosinistra ascolano all’indomani del voto amministrativo.




Assemblea pubblica con candidati e sostenitori delle liste
della coalizione Antonio CANZIAN Sindaco.

martedì 23 giugno 2009

Ce l’abbiamo messa tutta.
Ci siamo anche andati vicino, più di quanto potessimo immaginare.
Una differenza di soli 427 voti su 29.659 voti espressi.Potevamo fare di più?
Chissà …..col senno di poi, ovviamente, il pensiero va a quanto in più si sarebbe potuto fare.
Tra quanti hanno pienamente condiviso questa avventura nessuno ha, probabilmente, nulla da rimproverarsi.
Qualcun altro…..forse.
Abbiamo combattuto tra due fuochi: un fuoco aperto e di una portata straordinaria messo in campo dal candidato di centro-destra Guido Castelli grazie al rilevantissimo appoggio economico che ha saputo conquistarsi (speriamo, come cittadini di Ascoli, di non doverlo pagare troppo!) ed uno “amico”, altrettanto aperto sino al termine delle primarie ma poi divenuto nascosto e, per questo, più difficile da fronteggiare e contrastare. Alla fine il fatto di non poter concentrare l'attenzione sui guasti prodotti nella nostra città dal centro-destra e sui limiti del candidato Castelli l'abbiamo pagato con una sconfitta di misura che, proprio perchè di misura fa ancora più male. La vittoria era infatti alla nostra portata.
A chi gioverà tutto questo?Mentre in Italia avanza quasi incontrastata una pericolosissima deriva di destra che ha come solo e credibile baluardo in grado di contrastarla tante amministrazioni locali nelle quali i cittadini vedono esprimersi giornalmente forme di buon governo (unico antidoto efficace contro l’estendersi a macchia d’olio dello strapotere della destra agevolato dalla prepotenza mediatica del Cavaliere) non c’è più spazio per giochi di potere e logiche di gruppo.L’orgoglio, l’astio, il risentimento e le aspirazioni personali andavano in questa occasione messi da parte (sarà tutta la cittadinanza di Ascoli a pagare questi infantilismi con altri 5 anni, se Dio vuole solo 5, di governo della giunta Castelli, di opere non realizzate, di opportunità non colte, di diritti negati).
Così non è andata, purtroppo. Che dire quindi?
Per il momento G R A Z I E.
Grazie innanzitutto ad Antonio. Un grazie a quanti ci hanno creduto, a quanti ci hanno messo la propria faccia, il proprio tempo, il proprio sorriso, le proprie lacrime.
Quando si affronta un confronto elettorale si può anche perdere e, stavolta, anche nelle ragioni della sconfitta è possibile ritrovare la forza per non smettere di sognare una Ascoli diversa.


alcuni commenti:
Belle parole Mario, belle.Lucide e appassionate nello stesso tempo.Peccato per quello che è accaduto, non voglio fare valutazioni che non mi competono e non entro nel merito, dico solo che mi dispiace enormemente, ci sono stata male.ciao a presto.
Katia
Mi dispiace ...non ho parole!!!bravi comunque..ciao
Manuela


La sonfitta brucia, ma nasce una Giunta Castelli, già vecchia negli uomini, nei metodi e nella continuità con la Giunta Celani, proprio questi aspetti aprono spazi politici enormi che bisognerà saper gestsire e conquistare.Sull'analisi del voto non concordo completamente con te.Ascoli è una Città fondamentalmente di Destra, ed è lì che bisogna andare a rodere il consenso, lo possiamo fare solo con una grossa apertura al Centro. Quella a Ciccanti è stata tardiva e poco chiara. Non tutti i suoi voti sono passati a noi. Io prendo ad esempio il grande lavoro che ha fatto Massimo D'Alema, dove in Puglia alleandosi con la parte più avanzata del Centro-Destra l'ex Ministro Poli Bertone, ha sbancato, lasciando per pochi voti solo la Provincia di Brindisi.Ecco questa secondo me è la strada, con i rifondaroli non si va da nessuna parte, sono geneticamente concepiti per perdere sempre, e per sognare, basta pensare che hanno mandato a casa 2 volte Prodi.In Provincia l'errore è stato fatto all'inizio, se non si cambiava avevamo vinto alla prima, ma anche qui la strategia non è stata chiara, agli occhi esterni è sembrata come una lotta di potere, tra il Presidente ed il suo Vice, questo è il messaggio che è passato alla gente. Poi la conseguente decisione di Rossi di non votare Mandozzi, cosa ancora più grave, è stata la mossa che ha portato alle naturale sconfitta conseguente.Di chi è la colpa di tutto questo? Non so, non mi convince di dare la colpa tutta ad Agostini, Ionni. io sono propenso a pensare che ci sia stata una strategia politica sbagliata e una analisi politica che non è riuscita a capire quali settori del Centro- Destra ci potevano permettere di conquistare consenso, perchè ti ripeto è lì che sta il problema. L' apertura a Ciccanti anche se si sapeva che c'era un'accordo con Agostini, non è stata fatta alla luce del sole, insomma non è stata la conseguenza di una elaborazione, di un lavoro, politico fatto insieme. Questo è stato l'errore di Agostini. Ma questa è la strada da seguire. Massimo insegna, lui è 20 anni avanti nella sua strategia rispetto agli altri, nella Destra ci sono migliaia e miglia di lavoratori a quelli che Massimo guarda.Ciao stammi bene
Rudy

Mario, tutto il mio sostegno per mantenere intatto quello che resta della nostra democrazia. Ora però tocca a voi del PD, quadri locali e gente che ci crede. Cacciate la dirigenza romana in blocco, da Franceschini a D'Alema, da Bersani a Rutelli. Non li vogliamo più vedere! Hanno sbagliato, hanno fallito e si devono togliere di mezzo. E cominciamo a parlare di cosa volete fare. Non lo sappiamo più. Ciao.
Roberto

gRAZIE mARIO E grazie ANTONIO, per le bella esperienza e per aver ridato un po' di speranza a chi crede veramente nella politica giusta, senza nepotismi e favoritismi e giochi di potere.Speriamo che aver perso per poco ci permetta di vedere qualche dimissione. (???????????????????)L'unica cosa positiva è che adesso la vallata non sarà il centro del mondo.Comunque non ci arrendiamo, continuiamo a combattere "chi ci prova può vincere o può perdere, chi non prova ha già perso"!!!!!!!!!!!!!Io ci sarò sempre!Contate su di me, W i giovani di sinistra!!!!!!Ciao DAVIDE

Sono addolorata per Ascoli e per Antonio, che è un caro amico personale...MA..loro governeranno la nostra città con soli 400 voti di vantaggio..contro la metà che non li vuole, e non sarà facile.Ancora una volta l'incredibile attitudine che ha la sinistra a dividersi, ci ha portato alla sconfitta, la sindrome della "Primadonna", ha fatto il resto.I pecoroni neri seguono fedeli un capo solo, ignobile che sia, e vincono...Dobbiamo trovare coesione, recuperare consensi dai delusi e disamorati, diffondere notizie e informazioni...darsi da fare adesso più che mai.Negli anni cinquanta, con quel clima di caccia alle streghe, ogni domenica mattina a Bologna, centinaia di volontari portavano in ogni casa, porta a porta l'UNITA'.(Bologna, dopo Ascoli è la mia seconda città adorata...che resiste, resiste..)Se l'informazione ufficiale in Italia monopolizzata da quell'unico soggetto,sta vivendo il suo momento più miserabile, sconfinando spesso nella censura,noi dobbiamo esaltare e diffondere gli organi di informazione liberi e attendibili, se possibile crearne di nuovi...e non smettere mai di parlare, dappertutto, a sasa, sui posti di lavoro, incessantemente..Questa vergogna nera di mafia e massoneria deve finire...Non smettiamo di combattere.Graziella.

Complimenti vivissimi a Canzian e alla sua lsita per il risultato raggiunto. E' mancata la vittoria, ma non è colpa loro, le responsabilità sono di altri. Hanno fatto una campagna elettorale con passione e intelligenza ricevendo fiducia dalla metà degli ascolani.
Pietro Paolo

domenica 14 giugno 2009

CON CANZIAN……AD UN PASSO DAL SOGNO.



Da mesi, in tanti, lavoriamo ad un sogno.

Quando questa avventura è iniziata eravamo pochi ma molto motivati e consapevoli di offrire ai cittadini ascolani la possibilità di cambiare finalmente la nostra città. Man mano che il tempo passava il gruppo delle persone che la condivideva è divenuto sempre più numeroso .

Oggi siamo in tanti a credere che Ascoli può davvero voltare pagina ma dobbiamo essere sempre di più.


Ad una sola settimana dal voto è più che mai necessario sentirsi tutti mobilitati. Ci confrontiamo con un avversario capace di mettere in campo una incredibile quantità di risorse economiche. Su questo terreno non possiamo certo competere. Non dimentichiamo però che noi abbiamo dalla nostra parte l’entusiasmo,le idee, tante donne e tanti uomini, che, tutti insieme, possono davvero trasformarsi in una pacifica forza inarrestabile.

Sentiamoci tutti, in prima persona, parte di questo confronto. Dall’esito di queste elezioni dipende il futuro della nostra città: tanti ed importanti sono i progetti in campo e le modalità e i tempi di realizzazione di questi delineeranno un ruolo nuovo della nostra città o ne determineranno il definitivo declino.


Una settimana è davvero poco tempo. Mettiamocela tutta, convinciamo sempre più persone a scegliere Canzian e a promuoverlo tra i propri conoscenti. Usiamo tutti i sistemi che ci sembrano più opportuni: quelli tradizionali e tutti quelli che la nostra fantasia ci suggerisce.

Se siamo in tanti a volerlo basta poco, se siamo in tanti a farlo, un sogno si costruisce in fretta.

mercoledì 10 giugno 2009




martedì 2 giugno 2009

PD: 7 proposte per uscire dalla crisi.


1. Sistema universale di ammortizzatori sociali
essenziale strumento di protezione sociale e di tutela della vita stessa delle piccole imprese. Il Pd propone alcune misure immediate e in prospettiva la realizzazione di un’organica riforma degli ammortizzatori sociali di tipo europeo.
Nell'immediato:
a) l'introduzione di una misura temporanea di sostegno al reddito dei precari e degli altri lavoratori che perdono il lavoro e sono sprovvisti di copertura assicurativa, da associare ad attività di formazione e programmi di reinserimento lavorativo;
b) l'innalzamento della copertura Cassa integrazione ordinaria e straordinaria (CIG e CIGS) per proteggere dalle crisi, insieme ai lavoratori, anche le piccole imprese, che solo così possono sopravvivere e non creare ulteriore disoccupazione;
c) la sospensione del pagamento delle rate del mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione di residenza per i lavoratori che perdono il posto di lavoro.
In prospettiva, va realizzata una organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali in modo da arrivare all’istituzione di un sussidio unico di disoccupazione, di cui possa beneficiare chiunque perde il proprio posto di lavoro, inclusi i precari, a prescindere quindi dal tipo di contratto, dal settore e dalla dimensione dell’impresa nella quale veniva svolta l’attività lavorativa, con l’unica condizione dell’impegno alla riqualificazione e ad accettare offerte di lavoro.
2. Aumento del potere d’acquisto delle famiglie
con una riduzione della pressione fiscale sui redditi medio-bassi. Aumento delle detrazioni sui redditi da lavoro dipendente, autonomo e da pensione, a partire dai redditi e dalle pensioni più basse, per dare, attraverso questa via, alla fine della legislatura, 100 euro in più al mese per i redditi fino a 30.000 euro l’anno. L'intervento, alternativo al bonus famiglia e alla social card, viene erogato anche ai contribuenti incapienti attraverso trasferimenti.
3. Promozione di nuova occupazione femminile:
meno costi per l'impresa che assume una donna; meno tasse sul reddito da lavoro delle donne; sostegno all’imprenditoria femminile, anche attraverso il microcredito; accompagnamento degli interventi fiscali con politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e con il potenziamento di servizi di cura per la famiglia (asili nido, assistenza anziani non autosufficienti, ecc).
4. Green economy
per rilanciare la nostra economia rendendola più competitiva, per attivare fra nuovi lavori e riqualificazione (o almeno “salvataggio”) di quelli esistenti, un milione di posti di lavoro nei prossimi cinque anni e rispettare gli impegni presi a livello europeo.
Il Pd propone una serie di interventi, tra i quali un piano di riqualificazione degli edifici pubblici; rendere permanenti le agevolazioni fiscali del 55% per gli interventi di efficienza energetica delle abitazioni e degli edifici privati, costruzione di 100.000 nuovi alloggi, tra edilizia pubblica e canone agevolato, a bassissimo consumo energetico; incentivi per la rottamazione delle auto vincolati all’acquisto di auto a basse emissioni e bassi consumi e sostegno alla ricerca e all’innovazione dell’industria automobilistica per le auto ecologiche del futuro; favorire investimenti pubblici per il rinnovo del parco mezzi con acquisto di autobus a metano e avviare un piano di 1.000 treni per i pendolari, con 300 milioni di euro all’anno per cinque anni; ecoincentivi per l’acquisto di elettrodomestici a basso consumo; raddoppiare nei prossimi dieci anni l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili e favorire lo sviluppo di una industria nazionale del settore, rafforzando Industria 2015 e promuovendo nuove imprese che producano impianti, tecnologie, pannelli solari, nuovi materiali per l’edilizia; semplificare e dare certezza alle regole, ad esempio, nelle procedure di autorizzazione e nei regolamenti edilizi dei comuni; promuovere una politica agricola organica e favorire le imprese e le economie che puntano sul turismo di qualità, sui prodotti agricoli legati al territorio, alla manifattura italiana; incentivare il riciclo dei rifiuti e l’industria ad esso collegata: un incremento del 15% in dieci anni rispetto ai livelli attuali rappresenterebbe il 18% dell’obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni di CO2 e significherebbe far scendere i consumi energetici di 5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.
5. Aumento degli investimenti pubblici in infrastrutture
con priorità alle opere immediatamente cantierabili dei Comuni, a questo scopo parzialmente liberati dal vincolo del Patto di Stabilità Interno; si potrebbe così far partire entro il mese di giugno un programma di piccole e medie opere immediatamente cantierabili, ora bloccate dalla legge 133/2008, e avviare in tempi contenuti un piano straordinario di riqualificazione degli edifici pubblici, scuole soprattutto, per migliorare l’efficienza energetica e la messa in sicurezza.
Vanno inoltre ripristinate le risorse sottratte agli investimenti nel Mezzogiorno, in particolare al Fondo per le Aree Sottoutilizzate.
6. Sostegno alle imprese

sia rafforzando Confidi, sia garantendo il regolare e tempestivo pagamento delle pubbliche amministrazioni, sia ripristinando l'automatismo dei crediti d'imposta per la ricerca, gli investimenti, le ristrutturazioni; in particolare il Pd propone di accelerare il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese fino a 250 dipendenti attraverso il ricorso, nei limiti di 3 miliardi di euro per il 2009, alle risorse della gestione separata della Cassa Depositi e Prestiti; di potenziare le contro-garanzie per i Confidi - fino a triplicarne l'attuale capacità - di tutte le categorie del lavoro autonomo e delle piccole imprese, anche attraverso l’intervento della SACE; di dare attuazione alle misure previste nei decreti per la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese ed alle famiglie approvati all’inizio di ottobre 2008, ma rimasti inapplicati per l’assenza a tutt’oggi dei regolamenti attuativi, in particolare per la garanzia della raccolta bancaria a medio termine e a garanzia del rischio di credito.
Il Pd propone inoltre una serie di interventi fiscali per il lavoro autonomo e le imprese. Tra questi, il potenziamento del forfettone fiscale: per lavoratori autonomi, piccoli imprenditori e professionisti innalzamento del limite di fatturato a 70.000 euro l'anno e del limite di spesa per la disponibilità di beni strumentali a 45.000 euro nel triennio (circa 2 milioni di soggetti potenzialmente interessati, per i quali si elimina l'Iva, l'Irpef, l'Irap e gli studi di settore e si applica un'imposta sostitutiva complessiva del 20%); la riduzione della ritenuta d'acconto applicata sui ricavi dei professionisti (dal 20 al 10%) per evitare ricorrenti crediti fiscali, soprattutto per i professionisti più giovani; per il biennio 2009-2010; l’introduzione di un moltiplicatore pari a 2 per la deducibilità degli oneri finanziari derivanti dagli investimenti produttivi effettuati nel biennio 2007-2008, aggiuntivi rispetto alla media del triennio precedente; l'azzeramento per il biennio 2009-2010 dell'imposta sostitutiva sul reddito, attualmente prevista al 27,5%, per le ditte individuali e società di persone in contabilità ordinaria per la parte di reddito re-investita in azienda; la sospensione del tetto alla deducibilità degli interessi passivi per il biennio 2009-2010 per i soggetti Ires.
7. Difesa e valorizzazione del made in Italy,
con la ricerca e con l’innovazione ma anche tutelando marchi e denominazioni e contrastando il dumping sociale e lo sfruttamento del lavoro minorile.
Alla manovra anticiclica, con misure di immediato sostegno all’economia, devono essere unite riforme strutturali che accrescano il PIL potenziale e dunque riforme per la regolazione concorrenziale dei mercati (dalle banche alle assicurazioni, dalle professioni ai servizi pubblici locali, fino all'energia), in modo da mettere il paese in condizione di correre, quando la crisi internazionale sarà superata.
Insieme a queste, va tutelato come bene assoluto il merito di credito del paese e quindi la stabilità finanziaria. La riduzione della spesa corrente, attraverso una spending review sulla quale fondare una sistematica operazione di benchmark che faccia emergere le migliori pratiche in modo che verso esse convergano tutti i segmenti della pubblica amministrazione; il controllo delle entrate attraverso una intelligente lotta all’evasione fiscale; la valorizzazione dell'ingente patrimonio pubblico, per ottenere che si trasformi da fonte di costo a fonte di reddito sono essenziali per garantire la stabilità di medio periodo della finanza pubblica.
Insieme a queste va poi realizzata la riorganizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi, delle amministrazioni centrali e di ciascuna amministrazione regionale; la digitalizzazione "forzata" di tutta la Pubblica Amministrazione; l'accorpamento, in due anni, di tutti gli uffici periferici dello Stato centrale. Questo insieme di attività - da realizzare attraverso innovazioni legislative e, soprattutto, amministrative - è in grado di realizzare obiettivi di risparmio crescenti nel tempo (dopo due anni, un punto di PIL).
Già nel 2009, il costo delle misure anticicliche proposte è coperto, per la metà, da maggiori entrate legate all’innalzamento del Pil, dal riavvio delle politiche antievasione, dall’assorbimento nell’ambito dell’intervento generalizzato delle risorse dedicate al bonus famiglia e alla social card, dai primi risparmi dovuti all’attivazione delle centrale unica per gli acquisti. Possibili risparmi in conto interessi, da valutare in sede di assestamento del Bilancio dello Stato a Luglio 2009, dovrebbero essere utilizzati per migliorare la copertura. L’indebitamento ed il debito aggiuntivo previsto per il 2009 viene più che compensato nel corso del 2010 e 2011, grazie al venir meno degli effetti delle misure di carattere temporaneo, al recupero di risorse dall'evasione, al risparmio di spesa e, soprattutto, alla maggiore crescita conseguente alle riforme strutturali proposte.