La corsa alle candidature al parlamento sta mettendo in sordina un aspetto che mal si concilia con il fondamentale ed inderogabile principio che impone, prima di tutto, il rispetto della volontà popolare espressa nel mandato elettorale. Infatti stiamo assistendo ad una spinta convulsa verso il 'sacrificio parlamentare' di sindaci, presidenti, assessori (comunali, provinciali e regionali) che si dichiarano tutti pronti - a destra e a sinistra - ad immolarsi per 'salvare la patria', come si dice.
E non ve n'è uno, fra questi generosi kamikaze, che esprima qualche preoccupazione per l'incarico che dovrebbe abbandonare e per il danno arrecato quindi all'istituzione di cui fa parte per espresso mandato dei cittadini amministrati. Tutti dichiarano invariabilmente la stessa cosa: "sono pronto ad accettare la candidatura al parlamento se il partito me lo chiede".....
A questo proposito vorrei ricordare a costoro, ed anche ai loro partiti (ma è possibile che ce ne sia bisogno?) un principio talmente scontato, da risultare addirittura ovvio: un mandato elettorale non può mai diventare di proprietà dell'eletto, né del partito che lo ha candidato, ma rimane sempre e soltanto di proprietà dei cittadini elettori.
Il che significa che dovrebbe risultare chiaro ed indiscutibile l'obbligo di assolvere al compito affidato fino in fondo, senza interromperlo - secondo il proprio talento o per mera convenienza personale - lasciando un impegno di lavoro e di rappresentanza istituzionale a metà strada e repentinamente, arrecando un serio danno alla propria istituzione, costringendola ad operare faticose e spesso inadeguate sostituzioni, anche sotto il profilo dell'esperienza.
Almeno noi del Partito Democratico - partito nuovo per definizione e convinto innovatore di regole e costume per vocazione - dovremmo evitare di trovarci in queste insostenibili e contraddittorie situazioni. Un conto è il caso obbligato del candidato premier Veltroni - che tuttavia, giustamente, si è dimesso da sindaco solo quando è stato costretto dalla legge e neanche dopo essere stato eletto segretario del PD - un conto è invece abbandonare l'incarico per ambizione personale, quando questo non porta alcun vantaggio, ma crea solo diversi problemi, anche al partito.
Una candidatura non può essere un premio per il candidato, se crea dei problemi al lavoro che ha svolto bene; e se questi ha fatto un buon lavoro, perché glie lo facciamo interrompere, lasciando a sostituti inesperti il compito di proseguirlo, mentre va ad assumere un incarico parlamentare di cui non ha alcuna esperienza?
E se la giustificazione è che avendo raccolto molti voti a suo tempo porterebbe un contributo importante al successo elettorale, è giusto ricambiare così i cittadini che l'hanno votato, facendogli abbandonare il ruolo al quale lo avevano designato? Se poi egli non ha lavorato bene, perché lo manderemmo in parlamento?
Questa è una questione che deve definire finalmente, in modo inequivocabile, il cambiamento reale di cui deve essere portatore il PD. E la questione è la seguente: un mandato elettorale non è un mezzo di trasporto per carriere personali, né, tanto meno, un mezzo per acquisire un potere amministrativo e politico da usare per condizionare il partito e la volontà degli elettori con la distribuzione di 'mance' che finiscono per trasformare il consenso dei cittadini in complicità di sudditi. Queste considerazioni non sono prediche moralistiche, ma devono essere i punti fermi che stabiliscano in modo inequivocabile la differenza fra noi e i nostri avversari; la sconfessione dell'accusa infamante 'i politici sono tutti uguali'.
La scelta dei candidati è dunque un'occasione unica per mandare convincenti segnali di rinnovamento, sia agli elettori all'esterno, sia alla cosiddetta 'nomenclatura' all'interno. Rinnovamento che, almeno dalle nostre parti, si fa una gran fatica a vedere, poiché anche nel PD i vecchi dirigenti DS e Margherita hanno occupato tutti i posti chiave, dalla segreteria regionale ai coordinatori provinciali; e il cosiddetto ricambio politico avviene sempre con il gattopardesco e collaudatissimo metodo della cooptazione. Vale la pena di riflettere sul fatto che certi dirigenti che si avviano con passo sicuro verso l'immortalità politica non si prendono più neanche la briga di rispondere a qualsiasi richiesta di confronto e di dibattito, su temi così importanti.
Continuando così finiremo per aggregare solo aspiranti a carriere politiche personali, per perdere invece i pochi che ancora resistono (ancora per quanto?) rimanendo fiduciosi a sperare in un cambiamento vero. Le vecchie rivalità sono ancora tutte in campo e continuano ad alimentare la ormai cronica sfiducia dei cittadini nei politici e nelle istituzioni rappresentative. E' venuto il momento di restituire finalmente alla politica la dignità e la credibilità di un alto pubblico servizio. L'occasione è resa paradossalmente più praticabile proprio dalla grottesca legge elettorale, poiché non essendoci preferenze da esprimere, ma solo il voto di lista - voto quindi genericamente dato al partito - è più facile prescindere dalle eventuali doti elettorali dei candidati.
A questo proposito è venuto quindi il momento, per le ragioni suddette e per restituire fiducia nelle istituzioni ai cittadini, di rifiutare condizionamenti di qualsiasi tipo che non siano in sintonia con il tanto conclamato cambiamento. Altrimenti continueremo a rimanere in balìa di certi improbabili 'rinnovatori' che localmente continueranno a disfare la tela faticosamente tessuta a livello nazionale. Per questo le candidature al parlamento sono un'occasione da non perdere: esse sono la chiara dimostrazione della strada che si vuole percorrere.
Se confermare cioè l'andazzo attuale (con il pretesto dei pronunciamenti di ben organizzate parrocchie gestite da qualche gruppo di potere locale) o se disattenderlo alimentando concretamente le speranze di rinnovamento reale, in sintonia perfetta con la scelta di 'andare non da soli, ma liberi'! Si sollecitano commenti da protagonisti e..... comparse.......
Claudio Perini
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