E’ abbastanza diffusa la sensazione che i cittadini, in queste elezioni amministrative, abbiano probabilmente votato per bocciare scelte, contraddizioni ed incertezze di una parte, più che per dare fiducia all’altra che, aldilà di coreografie, di vecchie ed abusate pratiche, non brillava certo per unità di intenti, serietà delle proposte e manifesta capacità di concretizzarle.
L’elezione di Celani in provincia è emblematica: assolutamente inconcludente per i 10 anni trascorsi alla guida della città di Ascoli, sfiduciato dalla sua stessa maggioranza, eppure eletto presidente. Un esito, questo, che molti di noi avevano temuto e previsto. A volte accusati di essere eccessivamente pessimisti ma in realtà come i fatti hanno dimostrato, sin troppo realisti.
Vince il centrodestra alla Provincia, vince il centrodestra nel comune di Ascoli, cambiano le maggioranze in tutti gli Enti di 2° grado che vedranno a breve l’azzeramento degli organismi di governo e la loro sostituzione con maggioranze diverse da quelle attuali; è oggi, dopo il voto amministrativo, estremamente più difficile tentare di confermare il centrosinistra alla guida della Regione.
Partiamo dalla Provincia il cui risultato è quello che probabilmente più di ogni altro ha condizionato il resto: il PD ha tentato una prova di forza; ha, forte del suo 40%, ritenuto opportuno e logico rivendicare, anche in seguito ad evidenti differenze nell’individuazione di priorità programmatiche, il ruolo di presidente della provincia e provato a dimostrare la sua autosufficienza e capacità di vincere al di fuori della tradizionale alleanza di centrosinistra.
Una scelta possibile, approvata dall'assemblea provinciale, non all'unanimità ma certo con larghissima maggioranza dei presenti, ogni volta che si è votato, e, di certo, anche per questo, legittima.
Tanti però in questi mesi avevano, in diversi modi e forme, avvertito che per la via della delegittimazione di Rossi e del lavoro della sua giunta, della quale eravamo stati componente essenziale e determinante, non si sarebbe giunti a nessun risultato utile; che era, quella della divisione da Rossi, una politica sorda ai richiami dell’elettorato del centrosinistra; si è più volte letta ed udita la metafora dell’auto lanciata a piena velocità contro il muro senza che nessuno di quanti erano a bordo avesse il coraggio di dire ciò che realmente stava accadendo o di tirare il freno.
Giravano, ed erano anche conosciuti, dati di sondaggi che mostravano quanta parte dei tradizionali elettori del PD avrebbero comunque rinnovato la loro fiducia a Rossi; tanti erano gli appelli, gli articoli, i commenti sui quotidiani on-line che ci avvertivano del fatto che avremmo perso scegliendo di abbandonare la maggioranza provinciale a pochi mesi dalle elezioni ed esprimendo, non un candidato qualsiasi, ma colui che nella giunta Rossi aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente e che, come giusto e naturale, di quella giunta, e non poteva essere altrimenti, aveva condiviso ogni scelta e strategia.
Il nostro gruppo dirigente è rimasto, nonostante tutto, legittimamente, sulle sue posizioni. D’'altronde, fare scelte è principalmente responsabilità della maggioranza, ma, una volta che queste si dimostrano errate, non è giusto, ne utile ne dignitoso non trarre le dovute conseguenze. Non sarebbe giusto per i cittadini, per i nostri elettori, per quanti ci hanno sostenuto, per quanti, magari pur non condividendo la scelta della divisione, hanno comunque visto in noi una forza seria e responsabile e della quale fidarsi e ci hanno seguito.
L’essere, ed essere individuati quale forza seria e responsabile, impone anche delle responsabilità: è nel ruolo di un gruppo dirigente assumere delle decisioni e fare delle scelte, ma quando alla luce dei fatti queste si appalesano come errate, le conseguenze vanno tratte, se non si vuol dare l’impressione di far parte di una casta comunque intoccabile ed insensibile a qualsiasi cataclisma.
E, paradossalmente, tanto più diffusa e condivisa è stata la scelta, tanto più le responsabilità vanno individuate e, di conseguenza, più forte deve essere il segnale. Più di ogni altra cosa credo però pesi ed abbia pesato il clima creato in questa Assemblea. In diversi, in diverse circostanze, queste perplessità le avevamo manifestate. Io sono però convinto che non solo quei pochi ma tantissimi dei membri dell’assemblea erano consapevoli del fatto che persistendo sulla strada della divisione e dello scontro con Rossi si sarebbe perso. Se così non fosse questa situazione denoterebbe un’incredibile distacco dal senso comune dei cittadini, dal loro modo di pensare.
La cosa grave, allora, è nel fatto che nessuno (o quasi) ha ritenuto di esprimere queste perplessità che erano, lo ribadisco, patrimonio comune. Questo comportamento credo sia pericoloso indice di un clima non accettabile in un partito. Un partito è (dovrebbe essere), per definizione, luogo di confronto, di discussione, luogo nel quale lungi dal criminalizzarla, si fa della differenza di posizione ricchezza.
In questa capacità di confrontare le idee e di costruire insieme una proposta credibile e convincente è la forza di un partito e questo, francamente, tra noi non è avvenuto.
A questo punto il problema non è ovviamente dimissioni o meno del segretario. Non è, è stato detto , di un capro espiatorio che abbiamo bisogno. E’ il gruppo dirigente nel suo insieme che deve mettersi in discussione e quanti, in particolare, nessuno sa in quale sede ed in quale circostanza (certo non in questa assemblea), all’indomani del primo turno, una volta accertato che i consensi ricevuti dal nostro candidato non erano quelli sperati, hanno tentato, pur di non dover scendere a patti con Rossi, di vincere senza apparentamento, regalando così definitivamente la Provincia a Celani. Questo è probabilmente l’aspetto più grave della vicenda perché sino a quel momento ogni errore di valutazione poteva ancora essere recuperato.
Responsabilità in merito a questo non sono ancora emerse.
Resta agli atti il fatto che siamo riusciti a fare appelli per l’unità della sinistra agli elettori quando era, allo stesso tempo, evidente il fatto che non c’era nessuna volontà di confrontarsi seriamente con chi, pur con tutti i suoi limiti, di quel popolo della sinistra, aveva raccolto, non il 5 o 10 ma il 20 % dei consensi e che, in virtù di questo, non poteva che essere interlocutore necessario.
Si è scommesso sul non accordo con Rossi facendo un preciso calcolo e mettendo in conto la possibilità di una sconfitta. La sconfitta c’è stata, pesante, e non può essere ignorata.
Il nostro partito si appresta ad affrontare un difficile percorso congressuale. Io credo che sarebbe serio ed onesto affrontare questo percorso ponendo da subito, le condizioni per una discussione franca e aperta.
Chiunque tra noi abbia un mandato in seno all’assemblea lo rimetta ad essa, costruiamo insieme un organismo di garanzia, plurale, che ci conduca, appena possibile, e cmq non oltre novembre, al congresso di federazione.
Solo così forse riusciremo a riprendere quel dialogo con i cittadini e con tanti nostri elettori in questo periodo interrotto. Così forse riusciremo ad evitare che, quel 10% del nostro elettorato che in queste elezioni ha seguito Rossi, decida stabilmente di approdare ad altri lidi, relegandoci inevitabilmente ad una posizione marginale in questo territorio.